di Mirko Kulig
Immaginiamo la seguente situazione: siamo in un convegno in cui si trovano 50 persone di qualsiasi estrazione sociale di età compresa tra i 30 e gli 80 anni. Il relatore scrive alla lavagna la seguente equazione chiedendo di risolverla:
7x + 8 = 3x + 28
Per diverse persone la risoluzione di questa equazione non sarebbe immediata. Qualcuno ci riesce per tentativi, qualcuno dotato di particolari attitudini per la matematica ci riesce per intuizione, altri forse si ricordano il metodo di risoluzione, ma in genere penso che soltanto gli insegnanti di scienze, eventuali fisici, matematici, ingegneri e architetti siano in grado di risolvere questa equazione rapidamente e senza difficoltà. E questo nonostante il fatto che sia un’equazione del livello di VIII classe, quindi matematica delle medie.
Come mai non tutti sanno risolverla? Penso che la ragione sia molto semplice. Tutti hanno imparato a risolvere queste equazioni alle medie, ma poi, finiti gli studi, molti non le hanno mai più usate. Hanno dimenticato il procedimento matematico per risolverle perché nella vita di ogni giorno è raro che ci si trovi confrontati con problemi la cui risoluzione richiede la stesura di un’equazione.
La stessa situazione, credo, si presenterebbe se il relatore chiedesse come risolvere un problema basilare di fisica, o il bilanciamento di una reazione chimica, o la spiegazione della formazione del calcare dalle carcasse degli organismi marini, piuttosto che la nomenclatura di tutte le ossa del corpo umano. Tutte queste sono nozioni che si apprendono durante gli studi, e che poi, nella maggior parte dei casi, si dimenticano perché non servono nella vita se non in casi specifici.
Durante il percorso scolastico, fin dalle medie vengono insegnate nozioni e procedimenti che nella vita di ogni giorno non sono strettamente necessari, se non completamente inutili dal punto di vista pratico. Di conseguenza, vengono rapidamente dimenticati.
Perché allora i programmi scolastici (scuola Waldorf inclusa) insistono a portare questi argomenti? La domanda assume ancora più importanza in un’epoca come la nostra in cui le macchine già fanno praticamente tutto per noi, e non vi è quindi una stretta necessità di apprendere tutte queste nozioni.
Si può rispondere a questa domanda dicendo che un giorno qualcun’altro dovrà lavorare per produrre la tecnologia che ci serve oggi e per poterla migliorare. Certamente, in questo senso le università sono grandi istituzioni. Ma ho l’impressione che l’età in cui un uomo deve cominciare a studiare in previsione di un ipotetico futuro accademico si abbassi costantemente. Paesi con l’inizio della scuola a 4-5 anni, creazione di livelli di prestazione scolastica in 3a media o addirittura prima sono esempi di questa tendenza.
Il primo problema che si crea con questa visione “finalizzata” alla professione è che solo una frazione degli esseri umani ha le qualità specifiche individuali per diventare scienziati, e diversi allievi subiscono quindi l’umiliazione di essere “messi nella classe B”. Sentirsi inadeguato non è sicuramente una prerogativa per sviluppare un interesse per il mondo, per il suo funzionamento e per essere stimolati a studiare. Vi è poi sempre una fascia intermedia di allievi che se la cava e che magari si orienta verso le lingue e le scienze umanistiche. Per questi ultimi il carico di matematica e altre materie scientifiche viene spesso vissuto come un peso, in attesa di giungere nei livelli superiori in cui si potranno dedicare di più alla loro specifica aspirazione umanistica.
Il secondo problema di questa visione “finalizzata” è che, con l’introduzione di verifiche regolari, test e bocciature, si parte dal presupposto che tutti gli allievi debbano avere esattamente lo stesso sviluppo negli stessi tempi e giungere ad una particolare cognizione di causa sui diversi argomenti esattamente nello stesso momento. Se non è così, si ha l’insufficienza e forse si boccia.
La situazione viene poi ulteriormente aggravata dal fatto che per il docente, tutti i ragazzi devono aver raggiunto un certo livello nella sua materia, ma dal punto di vista degli allievi, ogni allievo deve raggiungere il livello stabilito dai docenti di tutte le materie. Ricordo a questo punto che questo vale per livelli in cui parte degli adulti faticano già solo in una materia (esempio delle equazioni). In pratica, già dalle medie, aspiriamo a creare dei ragazzi che sanno di più di noi adulti. Sorge la domanda se questa impostazione funzioni. In base alla mia esperienza, ritengo che questa impostazione funzioni parzialmente solo per poche persone.
Dovremmo quindi cambiare il programma, smettere di insegnare alcune materie? Io penso che il programma generale previsto per le medie nella scuola Waldorf sia adatto e non sia un sovraccarico. Dobbiamo però prendere coscienza delle ragioni più profonde per cui si insegnano la matematica e le altre materie scientifiche. La risposta più importante a questa domanda non è in relazione alla preparazione a studi futuri, ma è collegata con le caratteristiche specifiche dello sviluppo dell’essere umano in queste età.
Innumerevoli esperienze dimostrano che con il 12° anno di età sorge la scintilla del pensiero cosciente. Questo fatto è mostrato dal programma pubblico (le medie cominciano con il sesto anno scolastico) come pure da quello Waldorf, in cui viene introdotta la fisica e poi la chimica nel settimo anno scolastico. Ma la grande differenza non sta’ nelle materie insegnate, quanto nel modo di procedere nell’insegnamento. A partire dalla VI classe si cerca di mostrare il mondo con una visione indagatrice, che susciti un interesse di tipo scientifico, di pensiero. Le impressioni del mondo esterno non vengono più solo portate con sentimento come si fa nelle elementari, ma con maggiore rielaborazione di pensiero. Questo processo graduale che parte in VI classe si dovrebbe concludere con la XII classe. Si deve accompagnare il pensiero nel suo sviluppo dando al ragazzo quanto è specificamente utile al suo sviluppo per ogni anno di età.
È mia opinione che l’insegnamento della matematica per accompagnare lo sviluppo del pensiero nel ragazzo va visto più come uno strumento che non una materia fine a se stessa. Nello stesso modo, l’insegnamento della fisica, della chimica, della biologia e della geografia hanno lo scopo principale di insegnare a pensare in relazione all’ambito di trattazione della singola materia, e solo in secondo luogo di insegnare la materia stessa. Le due cose sono strettamente collegate, ma fa la differenza su cosa si pone l’accento.
I vantaggi di un insegnamento impostato in questo modo, sono l’eliminazione di aride nozioni che si dimenticano facilmente e l’introduzione di pensieri viventi nell’insegnamento che vanno realmente ad arricchire il bagaglio di esperienze del ragazzo contribuendo più efficacemente alla creazione di una sua immagine del mondo.