Mura poligonali in Veneto

Un conoscente, che non vuole rendere pubblico il suo nome, mi ha inviato questo scritto e le relative foto, che ripubblico. Il mio contributo è stato solo quello di intercalare le foto al testo. Buona lettura

Mura poligonali in Veneto

C:\Users\Benutzer1\AppData\Local\Microsoft\Windows\INetCache\Content.Word\IMG_2999 (2).jpg Lungo la statale del Pasubio all’altezza dell’incrocio tra la strada che attraversa il paese e la superstrada che lo aggira, un muro di contenimento sul lato destro della strada in direzione di Valli del Pasubio presenta una strana conformazione; è infatti un muro in opera poligonale lungo un centinaio di metri. Questo tipo di costruzione con questa precisione di incastri è molto simile, se non identico, ad omologhi manufatti che sono tipici di alcune aree del centro Italia e ufficialmente datati all’epoca romana o di poco precedenti, altri li ritengono molto più antichi. In ogni caso questo modo di costruire mura è atipico per le nostre zone dove le mura di contenimento di strade e terrazzamenti sono costruite con blocchi a secco o cementati posti gli uni sugli altri e non certo in forma poligonale ad incastro a secco, un lavoro molto complesso e sofisticato e, nel caso del nostro muro, non giustificato in termini di tempo di realizzazione e di scopo rispetto all’uso a cui è destinato visto, oltretutto, che queste costruzioni hanno caratteristiche antisismiche. Nessun altro esempio di costruzione simile è presente non solo nel Veneto ma in tutto il nord Italia a parte una eccezione, un tratto di mura in Alto Adige a Castel Thun. Il muro di Torrebelvicino è stato costruito, o sarebbe più giusto dire assemblato, nel secolo scorso ma, anche se questo può sembrare paradossale, potrebbe essere molto antico. Prima di risolvere questa contraddizione è naturale chiedersi se ci sono dati o testimonianze riferite al passato riguardo all’esistenza di strutture simili nel Veneto, ebbene un riferimento c’è e riguarda il territorio di Chioggia. Ne “il territorio di Chioggia” di V. Belleno (Chioggia 1893), l’autore afferma: “l’esistenza di tali muraglie è affermata dal Bello che dice che nel 1600 nell’eseguire a Brondolo alcuni scavi per opere idrauliche si trovarono resti di mura Pelasgiche da alcuni volute fattura degli Euganei”. Riguardo alla attribuzione dei manufatti agli Euganei il Bullo nell’opera citata (memorie storiche sulla città di Chioggia Padova 1862) puntualizza: “Il modo di costruzione è indizio del popolo che lo eseguì e la struttura Pelasgica (si intende quella poligonale) non può confondersi con le altre”. Per quanto riguarda Brondolo Plinio il vecchio nella sua “historia naturalis” (III 121) descrivendo la “fossa Clodia” lo cita indicandolo come porto “et proxima portum facit Brondulum”. Mario Marcozzi in “Chioggia XI e XII isola di Venezia multigrafica ed Roma 1982” afferma: “A questo proposito possiamo ricordare che longitudinalmente rispetto al canale di Lusenzo a circa due metri di profondità dal livello dell’acqua in occasione di una eccezionale bassa marea è stata notata una grossa muraglia che presentava la struttura caratteristica delle costruzioni Pelasgiche, tale muro lungo centocinquanta metri composto di grosso scarto (tomboloni) di trachite euganea, forse, in epoca antichissima costituiva la base di una cittadella subissatasi in epoche successive. 

La denominazione di Chioggia più antica è “Cluza” che significherebbe fatta artificialmente, questo parrebbe avere un senso alla luce di questi ritrovamenti”. Che la fondazione di Chioggia sia dovuta a popolazioni preelleniche insediatesi nel territorio non è ancora provato, si tratta di ipotesi, ma l’attribuzione ai Pelasgi di queste mura potrebbe essere all’origine di queste ipotesi. Come mai questo muro poligonale e i massi sparsi lungo le pendici dello Scandolara non hanno suscitato curiosità o interesse da un punto di vista storico archeologico? Perchè il muro fu eretto negli anni 20 del secolo scorso e sebbene sia inusuale per il luogo nessuno ha pensato fosse antico, le pietre, per quelli che sapevano da dove provenivano, si credeva venissero da una cava sullo Scandolara; effettivamente sul luogo ci sono tracce di lavorazione della pietra ma non di una cava, con ogni probabilità le pietre, molto più numerose in passato, vennero riutilizzate per usi locali ogni generazione pensando fossero resti di un antico lavoro di cava precedente e trattandole come tali. Dalla conformazione del suolo è evidente che le pietre furono cavate dalle rocce affioranti, non hanno nessun pregio particolare che giustifichi un lavoro del genere in un’area così scomoda, alcune sono di enormi proporzioni di forma poligonale e finite su tutti i lati. Una di queste presenta una forma particolare analoga ad un’altra che si trova inglobata nel muro a valle, questo tipo di conformazione è presente in molte mura poligonali del centro Italia insieme ad altre simili e con la stessa funzione e, proprio per questo, sono state studiate. Ne parla l’architetto Ruggero Lenci in “L’enigma dell’opera poligonale con blocchi concavi” (Gangemi Edit. 2016) con questa forma ne esistono di enormi esattamente come quella che si trova lungo le pendici dello Scandolara e altre più piccole come quella che fa parte del muro a valle. Per “poligono concavo” si intende una figura geometrica in cui un segmento che unisce due punti sulla sua superfice si trova interamente all’interno del poligono stesso. 

Così Lenci ne spiega la funzione: “L’inserimento in un muro di un blocco poligonale concavo avviene lì dove è necessario raccordare gli sfalsamenti e le irregolarità dei vari piani di posa e, al tempo stesso, bloccare lo scorrimento longitudinale delle pietre… Questi blocchi concavi svolgono pertanto un’importante funzione strutturale e posseggono una più che apprezzabile valenza estetica universalmente conosciuta. Il risultato è quello di un muro che a costo di maggior lavoro risulta essere più resistente all’azione del sisma o in caso di assedio quindi più duraturo nel tempo”. Come accennato in precedenza i blocchi concavi si trovano in varie mura poligonali in Italia centrale, in particolare analoghi a quello di torrebelvicino e dello Scandolara.

Si possono vedere ad Amelia, Alatri, sul Circeo, Pietrabbondante, Cori, Itri. Chiunque abbia squadrato questo tipo di pietra lo ha fatto non casualmente ma consapevole della funzione che doveva svolgere. Tagliare e adattare pietre poligonali per costruire un muro con incastri perfetti è un lavoro complesso e difficile che permette di costruire un’opera che ha il vantaggio di avere grande solidità, resistenza ai sismi ed è indicativo della cultura che lo ha eretto. Tutto questo lavoro al fine di costruire una massicciata ai lati di una strada non ha senso a meno chè non si trovino le pietre squadrate già pronte come è avvenuto in questo caso. Gli autori danno per scontato che i costruttori fossero Pelasgi perchè le mura poligonali erano considerate un tratto caratteristico di queste popolazioni. All’epoca le mura poligonali presenti nel centro Italia e nel bacino del mediterraneo erano dette mura ciclopiche o Pelasgiche. Diodoro Siculo (XIV III) affermava che vi erano dodici città fondate dai Pelasgi nella pianura Padana preesistenti di ben sette secoli alla dominazione Etrusca. Così nel 1862 scriveva Atto Vannucci in “studi storici e morali sulla letteratura latina”:  “Le mura ciclopiche studiate alacremente negli ultimi anni si connettono alle origini Italiche e ai tempi antichissimi in cui i Pelasgi popolavano varie regioni dell’Italia centrale portandovi le loro arti, industrie e civiltà e credenze del cui tipo vedonsi improntate tutte le regioni antiche, tra noi in molti luoghi si incontrano ancora gli avanzi di stupende costruzioni formate da blocchi irregolari”. Il fatto che le mura trovate a Brondolo e nella laguna di Lusenzo fossero realmente Pelasgiche, o ad esempio Romane, non è la questione principale, quello che qui si vuol far notare è che furono definite Pelasgiche perchè si trattava di mura poligonali e probabilmente questi ritrovamenti furono alla base delle teorie successive sull’insediamento di popolazioni preelleniche (pelasgiche) in questo territorio. C’è da dire comunque che nell’area di Chioggia sono presenti toponimi di probabile origine Ellenica come Errone, Canes, Lusenzo, Resa, Pristina, Torso, Bebbe, Ceredo, Postene, Peretolo, Roegno ed altri ancora. Come abbiamo accennato in precedenza il muro di Torrebelvicino è stato assemblato nel secolo scorso, perchè assemblato? Perchè le pietre utilizzate per costruirlo provengono da un altro luogo non molto lontano in linea d’aria; dalle pendici del monte Scandolara un rilievo alto 949 metri posto a Sud-Ovest rispetto all’abitato di Torrebelvicino. In base ad una testimonianza di un abitante del luogo dopo la fine della prima guerra mondiale furono prelevate dal sito originario e portate a valle per costruire la massicciata ai lati della strada.

Come si può vedere ancora adesso sono rimaste sparse lungo le pendici del monte le pietre più grandi, alcune veramente enormi quasi tutte di forma poligonale, squadrate su tutti i lati impossibili da spostare anche con attrezzature moderne. La strada a valle dove è posizionato il muro è attualmente denominata “strada provinciale del monte Pasubio” ma non è sempre stato così, dal 1928 al 1938 si chiamò “strada del pian delle Fugazze” e in seguito “strada statale del Pasubio”. Incastonata nel muro poligonale si trova una targa con scolpite le lettere PF (pian delle Fugazze) che testimonia che il muro fu eretto nel 1928, dieci anni dopo la fine della prima guerra mondiale.  

In una seduta del consiglio comunale di Torrebelvicino del 9 agosto 1924 il comune chiede alle autorità competenti che gli vengano assegnate le strade militari costruite durante il periodo bellico che comunque erano in manutenzione a carico del comune da dopo il conflitto 15-18. Tra queste è indicata la strada carreggiabile che dal confine di Magrè attraverso il monte Scandolara e per il passo Colombo và al Civillina. Tutta questa area durante il conflitto era zona militare, ma i monti Civillina, Varolo e Scandolara furono per secoli, dal 1300 in poi, oggetto di liti e contese tra vari comuni, così, nell’ottocento, venivano descritti i versanti che guardavano Torrebelvicino (Le montagne della discordia Antonio Fabris cierre ed. pg 30). “Il rovescio dei monti medesimi che guarda a Torre e che dalla loro sommità declina fino al suo abitato è deserto, ciglioso, indomabile all’agricoltura, senza case, senza altra maniera di umano stabil ricetto, lungo e triste soggiorno di ghiacci e nevi per una gran parte dell’anno quà e là fornito di poche piante e cespugli e nella migliore stagione d’erbe e foraggi”. (8 gennaio 1836 petizione del comune di Torrebelvicino contro il comune di Recoaro e l’imperial regio fisco). Da: A. Fabris Le montagne della discordia Cierre Edizioni. L’unica strada degna di questo nome che collega lo Scandolara con il passo Zovo (la viabilità principale)è stata costruita a scopi militari agli inizi del 900, attualmente esiste una strada forestale sul lato di Torrebelvicino verso il passo Colombo che porta sempre a passo Zovo ma dalle mappe dell’area più antiche non ci sono tracce di strade che potessero permettere il trasporto di pietre che, come abbiamo detto, ancora ai nostri giorni sarebbe veramente difficile spostare con mezzi moderni.  Solo quelle più piccole vennero utilizzate per la costruzione della massicciata a valle dopo che l’area passò dal controllo dell’esercito al comune, inoltre queste zone sono per secoli state oggetto di contese territoriali tra vari comuni per l’uso dei boschi e dei pascoli, in nessun documento viene citata la presenza di una cava neanche nei testi di geologia e altro che descrivono le varie attività legate allo sfruttamento del suolo nell’arco di parecchi anni. Così viene descritto il versante verso Torre in un bollettino del servizio geologico d’Italia nel 1884: “Alla base del monte Scandolara si cominciano a vedere erratici massi di calcare con Lithios e d’altre rocce Giuriesi e Titoniche quali già incontrammo sull’altipiano di Tonezza e se da questo punto si segue una stradicciuola intagliata nel versante NE del monte si possono osservare in posto, nella sua parte più ripida, che è anche la prima, i terreni caratteristici del Giura (cioè calcari grigi con lithios, altri zeppi di bivalvi e brachiopodi) sottoposti a Biancone. Poi procedendo orrizontalmente dè calcari rossi un pò nucleati con molta probabilità Titonici e, quando la via ricomincia a salire, di nuovo calcari Giuresi come i precedenti, tornato orrizontale il sentiero la vegetazione nasconde ogni cosa”. Ed in “giornale della letteratura italiana” del 1810 alla voce “monte Scandolara” è scritto: “Trovasi monte Scandolara, ultimo dei monti che mi accinsi ad illustrare nel presente saggio, alto 856 m… la sola varietà che offre questo monte è un filone di argilla refrattaria di colore bianco di perla… In un altro poderoso testo di 965 pagine intitolato “le alpi che cingono l’Italia considerate militarmente così nell’antica come nella presente condizione” A. Portis Torino 1845 in cui vengono enumerate per ogni località alpina le risorse disponibili, acque, foreste, miniere, cave etc alla voce Scandolara nulla è segnalato. Risalendo le pendici dello Scandolara lungo il tratto in cui sono sparse le pietre si arriva in una zona sommitale relativamente pianeggiante da cui la vista abbraccia sia la valle dell’Agno sia la val Leogra, una posizione strategica invidiabile. La dorsale Civillina-Mucchione, di cui lo Scandolara, fa parte è caratterizzata da frequentazioni risalenti ad epoche antiche. Si potrebbe ipotizzare che originariamente su questo piano si ergesse una costruzione megalitica poligonale smantellata nell’arco dei secoli, le cui pietre furono in gran parte riutilizzate nel corso di varie epoche come fosse stata una cava, le mura in questione, come accadde in siti analoghi in centroItalia, furono costruite usando le pietre affioranti del posto. “Uno dei motivi fondamentali dell’interesse degli antichi al popolamento della zona è legato all’importanza che l’area rivestiva per l’attività mineraria…. ” (nelle viscere della montagna paesaggi preindustriali sulla dorsale Agno-Leogra Migliavacca-Carraro- Ferrarese 2013).  In due occasioni nel 2007 e nel 2011, sul monte Civillina a 950 m di quota si rinvenne materiale ceramico datato tra il bronzo finale e la prima età del ferro. Altra località degna di nota è il Mucchione, un rilievo vulcanico di forma conica dai pendii molto ripidi facilmente riconoscibile dalla pianura sottostante e posto in una posizione strategica a meno di un ora dal passo Zovo a piedi. Dalla sua sommità si possono, come dallo Scandolara, osservare le sottostanti valli dell’Agno e del Leogra. Sulla cima sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici e strutture murarie a secco datate ad un periodo compreso tra l’età del bronzo finale e l’età del ferro (X-IX sec AC). Queste due località, il Civillina e il Mucchione, si trovano su una dorsale interrotta dal passo Zovo che univa la vall’Leogra e la valle dell’Agno che in epoche antiche era frequentata e attraversata sia come via di comunicazione sia per motivi legati allo sfruttamento delle risorse minerarie presenti sul Civillina e nelle valli limitrofe.