L’esperimento come mediatore tra oggetto e soggetto – J.W. von Goethe

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Non appena l’uomo prende coscienza degli oggetti che lo circondano, li considera in relazione a se stesso, e giustamente. Infatti, tutto il suo destino dipende dal fatto che gli piacciano o non gli piacciano, che lo attraggano o lo respingano, che gli giovino o lo danneggino. Questo modo del tutto naturale di guardare e giudicare le cose sembra tanto facile quanto necessario, eppure l’uomo si espone così a mille errori che spesso lo svergognano e gli abbruttiscono la vita.

Un lavoro molto più difficile è quello intrapreso da coloro il cui vivace impulso alla conoscenza si sforza di osservare gli oggetti della natura in se stessi e nelle loro relazioni reciproche, perché presto perdono il criterio che veniva loro in aiuto quando, da uomini, consideravano le cose in relazione a se stessi. Manca il criterio del gradimento e dell’antipatia, dell’attrazione e della repulsione, del beneficio e del danno; a questo devono rinunciare del tutto; come esseri indifferenti e, per così dire, divini, devono cercare ed esaminare ciò che è, e non ciò che piace. Così il vero botanico non dovrebbe essere mosso né dalla bellezza né dall’utilità delle piante; dovrebbe esaminare la loro formazione, la loro relazione con il resto del regno vegetale; e come tutte sono attirate e illuminate dal sole, così dovrebbe guardarle e scrutarle tutte con lo stesso sguardo calmo, e prendere i criteri per questa conoscenza, i dati del giudizio, non da se stesso, ma dal cerchio delle cose che osserva.

La storia della scienza ci insegna quanto sia difficile per l’uomo questa alienazione. Il modo in cui egli giunge, e deve giungere, a ipotesi, teorie, sistemi e qualsiasi altro tipo di concezione attraverso cui cerchiamo di comprendere l’infinito, ci occuperà nella seconda parte di questo piccolo saggio. Dedicherò la prima parte alla considerazione di come l’uomo procede quando cerca di riconoscere le forze della natura. La storia della fisica, che sto studiando più da vicino, mi offre spesso l’occasione di riflettere su questo aspetto, e così nasce questo piccolo saggio, in cui in genere cerco di osservare i modi in cui uomini illustri hanno giovato e danneggiato la visione della natura.

Se consideriamo un oggetto in relazione a se stesso e agli altri con un’attenzione pacata, e non lo desideriamo o lo detestiamo immediatamente, saremo presto in grado di formarci un concetto abbastanza chiaro di esso, delle sue parti, delle sue relazioni. Più continuiamo a fare queste osservazioni, più colleghiamo gli oggetti tra loro, più esercitiamo il potere di osservazione che è in noi. Se sappiamo applicare queste intuizioni a noi stessi nelle azioni, meritiamo di essere chiamati intelligenti. Per ogni uomo ben organizzato, moderato per natura o moderato dalle circostanze, la prudenza non è una cosa difficile: la vita ci rimprovera a ogni passo. Ma se l’osservatore deve applicare lo stesso acuto potere di giudizio all’esame delle segrete condizioni naturali, se in un mondo in cui è, per così dire, solo, deve stare attento ai propri passi e alle proprie orme, guardarsi da ogni fretta, avere sempre in mente il proprio scopo, e tuttavia non evitare, durante il tragitto, qualsiasi cosa utile o dannosa; se deve essere il più severo osservatore di se stesso, anche quando non può essere controllato facilmente da nessuno, e deve essere sempre sospettoso di se stesso nei suoi sforzi più zelanti, si può vedere quanto siano severe queste richieste e quanto poco si possa sperare di vederle interamente soddisfatte, sia che le si faccia agli altri che a se stessi. Tuttavia, queste difficoltà, anzi si potrebbe dire questa ipotetica impossibilità, non ci devono dissuadere dal fare ciò che possiamo, e arriveremo più lontano se cercheremo di osservare i mezzi in generale con cui uomini eccellenti hanno saputo estendere le scienze; se indicheremo con precisione le vie sbagliate per le quali si sono allontanati, e per le quali un gran numero di allievi li ha talvolta seguiti per secoli, finché l’esperienza successiva non ha guidato l’osservatore di nuovo sulla strada giusta.

Che l’esperienza, come in tutto ciò che l’uomo intraprende, così anche nello studio della natura di cui sto parlando, abbia e debba avere la massima influenza, nessuno lo negherà, così come non si negherà l’alto e, per così dire, creativamente indipendente potere delle forze animiche in cui queste esperienze sono comprese, raccolte, ordinate e formate. Ma come queste esperienze debbano essere fatte e come debbano essere utilizzate, come i nostri poteri debbano essere addestrati e utilizzati, non può essere né così generalmente conosciuto né così generalmente riconosciuto.

Non appena l’attenzione di uomini con sensi acuti e freschi, e ce ne sono più di quanti si creda, si rivolge agli oggetti, si scopre che sono tanto inclini quanto abili a fare osservazioni. L’ho potuto notare spesso da quando tratto con zelo lo studio della luce e dei colori e, come spesso accade, anche conversando su ciò che mi interessa con persone a cui tali osservazioni sono altrimenti estranee. Non appena la loro attenzione si è animata, notano fenomeni che in parte non conoscevo, in parte avevo trascurato, e così spesso hanno corretto un’idea concepita troppo frettolosamente, dandomi persino motivo di fare passi più rapidi e di uscire dai confini in cui spesso ci imprigiona una laboriosa indagine.

Ciò che vale per tante altre imprese umane vale anche in questo caso, e cioè che solo l’interesse di più persone diretto a un unico punto è in grado di produrre qualcosa di eccellente. Qui è evidente che l’invidia, che vorrebbe escludere gli altri dall’onore di una scoperta, che la smania intemperante di trattare ed elaborare qualcosa di scoperto solo a modo proprio, è il più grande ostacolo per il ricercatore stesso.

Finora mi sono trovato troppo a mio agio nel metodo di lavoro con più persone per non continuare. So esattamente a chi devo questo e quello sul mio cammino, e sarà mio piacere renderlo noto pubblicamente in futuro.

Se uomini naturalmente attenti sono in grado di aiutarci così tanto, quanto più generale deve essere il vantaggio quando uomini istruiti collaborano tra loro! Una scienza è di per sé una cosa così grande che può reggere molti uomini, anche se nessun uomo può reggerla da solo. Si può osservare che la conoscenza, per così dire, come un’acqua chiusa ma viva, sale gradualmente a un certo livello. Le scoperte più belle sono state fatte sia dagli uomini che dal tempo, così come cose molto importanti sono state fatte contemporaneamente da due o anche più pensatori. Se, dunque, nel primo caso dobbiamo tanto alla società e ai nostri amici, nel secondo dobbiamo ancora di più al mondo e al secolo, e in entrambi i casi non riconosceremo mai abbastanza quanto siano necessari la comunicazione, l’assistenza, la memoria e l’opposizione per mantenerci sulla retta via e farci progredire.

Nelle questioni scientifiche, quindi, si deve fare proprio il contrario di ciò che l’artista farebbe: infatti, è bene che l’artista non faccia vedere in pubblico la sua opera d’arte finché non è terminata, perché nessuno può facilmente consigliarlo o assisterlo; ma quando è terminata, deve poi considerare e prendere a cuore le censure o le lodi, unirle alla sua esperienza, e così allenarsi e prepararsi per una nuova opera. Nelle questioni scientifiche, invece, è utile comunicare pubblicamente ogni singola esperienza, anche le supposizioni; ed è altamente consigliabile non erigere un edificio scientifico finché il progetto e i materiali non sono generalmente conosciuti, giudicati e selezionati.

Passo ora a un punto che merita tutta l’attenzione, ovvero il metodo di lavoro più vantaggioso e sicuro.

Se ripetiamo deliberatamente le esperienze che sono state fatte prima di noi, che noi stessi o altri allo stesso tempo fanno con noi, e rappresentiamo di nuovo i fenomeni che sono sorti in parte per caso e in parte artificialmente, chiamiamo questo un esperimento.

Il valore di un esperimento consiste principalmente nel fatto che, sia esso semplice o composto, può essere riprodotto in qualsiasi momento in determinate condizioni con un apparecchio noto e con la necessaria abilità, tutte le volte che le circostanze condizionate possono essere combinate. Siamo giustificati ad ammirare l’intelletto umano quando consideriamo le combinazioni che ha fatto per questo scopo finale e le macchine che sono state inventate per questo scopo e che vengono inventate ogni giorno.

Per quanto apprezzabile possa essere ogni esperimento considerato separatamente, acquista il suo valore solo unendolo e combinandolo con altri. Ma unire e combinare due esperimenti che hanno una certa somiglianza tra loro richiede un rigore e un’attenzione maggiori di quelli che anche gli osservatori più attenti hanno spesso richiesto a se stessi. Due fenomeni possono essere correlati tra loro, ma non così strettamente come pensiamo. Due esperimenti possono apparire come consecutivi, mentre dovrebbe esserci ancora una grande fila tra loro per farli entrare in un collegamento del tutto naturale.

Non si può fare troppa attenzione, quindi, a raggiungere conclusioni troppo in fretta dagli esperimenti: Infatti, nel passaggio dall’esperienza al giudizio, dalla conoscenza all’applicazione, è qui che, per così dire, tutti i nemici interiori dell’uomo sono in agguato: l’immaginazione, l’impazienza, l’imprudenza, il compiacimento, la rigidità, la forma-pensiero, l’opinione preconcetta, la comodità, la noncuranza, la mutevolezza, e qualunque sia l’intera schiera con il suo seguito, sono tutti in agguato qui e improvvisamente sopraffanno sia l’uomo di mondo che agisce, sia l’osservatore tranquillo che sembra al sicuro da tutte le passioni.

Per avvertire di questo pericolo, che è più grande e più vicino di quanto si possa pensare, vorrei porre qui una sorta di paradosso, per attirare l’attenzione in modo più vivace. Oso infatti affermare che un esperimento, anzi più esperimenti insieme, non provano nulla, anzi che non c’è nulla di più pericoloso che voler confermare una proposizione direttamente con gli esperimenti, e che i più grandi errori sono sorti proprio perché non si è riconosciuto il pericolo e l’inadeguatezza di questo metodo. Devo spiegarmi meglio per non essere sospettato di voler dire qualcosa di strano.

Ogni esperienza che facciamo, ogni esperimento con cui la ripetiamo, è in realtà una parte isolata della nostra conoscenza; con la ripetizione frequente portiamo questa conoscenza isolata alla certezza. Due esperienze sullo stesso tema possono diventare note, possono essere correlate ma sembrano più strettamente correlate, e di solito siamo inclini a pensarle più strettamente correlate di quanto non lo siano. Questo è conforme alla natura dell’uomo, la storia della mente umana ci mostra mille esempi, e ho notato in me stesso che commetto questo errore quasi giornalmente.

Questo errore è strettamente legato a un altro, dal quale deriva anch’esso per la maggior parte. Infatti, l’uomo prova più piacere per la rappresentazione che per la cosa, o meglio, dobbiamo dire: L’uomo gode di una cosa solo nella misura in cui la rappresenta; questa immaginazione deve adattarsi al suo modo di pensare, e per quanto innalzi il suo modo di immaginare al di sopra di quello comune, per quanto lo purifichi, di solito rimane solo un tentativo di mettere molti oggetti in una certa relazione che, in senso stretto, non hanno tra loro; da qui la tendenza alle ipotesi, alle teorie, alle terminologie e ai sistemi, che non possiamo disapprovare perché nascono necessariamente dall’organizzazione del nostro essere.

Se da un lato, ogni esperienza, ogni esperimento, è per sua natura da considerarsi isolato, dall’altro, la forza dello spirito umano si sforza enormemente di unire tutto ciò che è al di fuori di esso e che gli diventa noto; allora si vede facilmente il pericolo che si corre quando si vuole collegare una singola esperienza con un’idea già concepita, o dimostrare tramite singoli esperimenti una relazione che non è derivata dai sensi ma che la forza formativa dello spirito ha già pronunciato.

Un tale sforzo dà di solito origine a teorie e sistemi che fanno onore all’ingegno dei loro autori, ma che, se sono più che giustamente applauditi, se rimangono più a lungo di quanto sia giusto, ostacolano e danneggiano il progresso della mente umana, che in un certo senso avevano inizialmente promosso.

Si potrà notare che una buona mente usa tanta più arte quanto minore è il numero di dati che ha a disposizione; che per mostrare il suo dominio, seleziona solo alcuni tra i dati presenti, quelli che lo lusingano; che sa come disporre gli altri in modo tale che non lo contraddicano apertamente, e che infine sa come ingarbugliare quelli ostili, farli girare e metterli da parte in modo tale che in realtà ora l’insieme non assomiglia più a una repubblica libera, ma a una corte dispotica.

A un uomo che ha tanti meriti non possono mancare ammiratori e allievi che conoscono e ammirano storicamente un tale tessuto e, per quanto possibile, adottano la maniera di rappresentare le cose del loro maestro. Spesso una tale dottrina prende il sopravvento a tal punto che si verrebbe considerati insolenti e audaci se si osasse metterla in dubbio. Solo i secoli successivi oseranno toccare un simile santuario, reintrodurre l’oggetto della contemplazione al comune senso umano, prendere la questione un po’ più alla leggera e dire del fondatore di una setta ciò che un burlone dice di un grande maestro: sarebbe stato un grande uomo se avesse inventato di meno.

Ma non è sufficiente indicare il pericolo e mettere in guardia. È giusto che si esprima la propria opinione e si dichiari come si creda di poter evitare una tale deviazione, o se si ha scoperto come un altro l’ha evitata prima di noi.

Ho già detto che considero dannosa l’applicazione diretta di un esperimento per la dimostrazione di qualsiasi ipotesi, e ho quindi indicato che considero utile un’applicazione indiretta, e poiché tutto dipende da questo punto, è necessario spiegarsi chiaramente.

Nella natura vivente non accade nulla che non sia collegato all’insieme, e se le esperienze ci appaiono solo isolate, se dobbiamo considerare gli esperimenti solo come fatti isolati, ciò non significa che siano isolati; si tratta solo di chiedersi: come trovare la connessione tra questi fenomeni, questi eventi?

Abbiamo visto sopra che i primi a essere soggetti a errore sono stati coloro che hanno cercato di collegare un fatto isolato direttamente con il loro potere di pensiero e di giudizio. D’altra parte, scopriremo che hanno ottenuto i migliori risultati coloro che non hanno smesso di indagare e di lavorare attraverso tutti i lati e le modifiche di una singola esperienza, un singolo esperimento, al meglio delle loro capacità.

In futuro, merita una riflessione a parte il modo in cui l’intelletto può venire in nostro aiuto in questo contesto.

Diciamo per ora che, poiché ogni cosa in natura, ma soprattutto le forze e gli elementi più generali, sono in perenne azione e controazione, possiamo dire di ogni fenomeno che è collegato a innumerevoli altri, proprio come diciamo di un punto luminoso libero che emette i suoi raggi in tutte le direzioni. Quando abbiamo fatto un tale tentativo, una tale esperienza, non potremo mai esaminare con sufficiente attenzione ciò che lo affianca immediatamente, ciò che ne consegue. È questo che dobbiamo osservare più di ciò che lo riguarda. La diversificazione di ogni singolo esperimento è quindi il vero dovere del naturalista. Il suo compito è esattamente l’opposto di quello di uno scrittore che vuole intrattenere. Quest’ultimo susciterà la noia se non lascerà nulla a cui pensare; il secondo deve lavorare senza sosta, come se volesse non lasciare nulla da fare ai suoi successori, anche se la sproporzione della nostra comprensione rispetto alla natura delle cose gli ricorderà abbastanza presto che nessun uomo ha sufficienti capacità per giungere alla conclusione in qualsivoglia questione.

Nelle prime due parti dei miei contributi di ottica ho cercato di mettere in piedi una tale serie di esperimenti, che all’inizio confinano tra loro e si toccano direttamente, anzi, se li si conosce e li si abbraccia complessivamente con esattezza, costituiscono, per così dire, un solo esperimento, una sola esperienza dai più svariati punti di vista.

Tale esperienza, che si compone di molte altre, è ovviamente di tipo superiore. Presenta la formula sotto la quale si esprimono innumerevoli esempi individuali di calcolo. Ritengo che sia il più alto dovere dello scienziato naturale lavorare su queste esperienze di tipo superiore, e l’esempio degli uomini più eccellenti che hanno lavorato in questo campo ci indica questa direzione.

Dobbiamo imparare dai matematici la prudenza di mettere insieme solo elementi conseguenti, o meglio di dedurre la cosa successiva dalla precedente, e anche quando non facciamo uso di alcun calcolo, dobbiamo sempre procedere come se dovessimo rendere conto al geometra più rigoroso.

È infatti il metodo matematico che, per la sua prudenza e purezza, rivela immediatamente ogni salto nell’asserzione, e le sue prove sono in realtà solo spiegazioni circostanziali del fatto che ciò che viene messo in relazione è già stato lì nelle sue parti semplici e in tutta la sua sequenza, è stato visto complessivamente in tutta la sua estensione, ed è stato scoperto correttamente e inconfutabilmente in tutte le sue condizioni. Perciò le loro dimostrazioni sono sempre piuttosto esposizioni, ricapitolazioni, che argomentazioni. Poiché sto facendo questa distinzione, permettetemi di guardare indietro.

Si nota la grande differenza tra una dimostrazione matematica, che porta avanti i primi elementi attraverso tanti collegamenti, e tra la prova che un abile oratore potrebbe ricavare da argomentazioni. Le argomentazioni possono contenere relazioni del tutto isolate, eppure, grazie all’arguzia e all’immaginazione, possono essere riunite in un punto e produrre in modo abbastanza sorprendente la parvenza di un giusto o sbagliato, di un vero o falso. Allo stesso modo, a favore di un’ipotesi o di una teoria, si possono mettere insieme i singoli esperimenti come se fossero delle argomentazioni e produrre una prova più o meno sorprendente.

Se invece è importante lavorare onestamente con se stessi e con gli altri, si lavorerà con la massima attenzione sui singoli esperimenti e si cercherà di formare esperienze di tipo superiore. Queste possono essere espresse in proposizioni brevi e comprensibili, poste l’una accanto all’altra, e, man mano che si formano, possono essere disposte e messe in relazione in modo tale da essere incrollabilmente valide come proposizioni matematiche, sia singolarmente che nel loro insieme.

Gli elementi di queste esperienze di tipo superiore, che sono molti esperimenti individuali, possono quindi essere esaminati e testati da tutti, e non è difficile giudicare se le molte parti individuali possono essere espresse da una proposizione generale; perché qui non c’è arbitrarietà.

Ma nell’altro metodo, quando si vuole dimostrare qualcosa che si afferma attraverso esperimenti isolati, per così dire con argomentazioni, il giudizio è spesso solo falsificato, se non rimane addirittura in dubbio. Ma quando si è riunita una serie di esperienze di tipo superiore, è allora che l’intelletto, l’immaginazione, l’ingegno si devono esercitare su di esse come possono. Questo non sarà dannoso, anzi sarà utile. Questo lavoro non può essere fatto con troppa cura, assiduità, rigore, persino con pedanteria; perché è intrapreso per il mondo e per i posteri. Ma questi materiali devono essere disposti e sistemati in serie, non messi insieme in modo ipotetico o utilizzati in forma sistematica. Ognuno è poi libero di combinarli a modo suo e di formarne un insieme che può essere più o meno conveniente e gradevole per l’immaginazione umana in generale.

In questo modo, possiamo distinguere ciò che deve essere distinto e la collezione di esperienze può essere incrementata molto più rapidamente e puramente che se gli esperimenti successivi dovessero essere messi da parte inutilizzati, come le pietre che vengono portate dopo una costruzione completata.

L’opinione degli uomini più eccellenti e il loro esempio mi fanno sperare di essere sulla strada giusta e vorrei che i miei amici, che a volte mi chiedono quale sia la mia intenzione nei miei sforzi ottici, fossero soddisfatti di questa spiegazione. La mia intenzione è quella di raccogliere tutta l’esperienza in materia, di fare io stesso tutti gli esperimenti e di realizzarli nella loro massima diversità, in modo che siano anche facili da ripetere e non siano fuori dalla portata di tanti uomini. Poi, elaborare le proposizioni in cui si possono esprimere le esperienze del tipo superiore, e aspettare di vedere fino a che punto anche queste si collocano sotto un principio superiore. Se, tuttavia, l’immaginazione e l’ingegno dovessero talvolta correre impazientemente in avanti, il metodo stesso di procedere indica la direzione del punto a cui devono tornare.

J. W. Von Goethe, 28 aprile 1792

Concetti puri

È evidente che la scoperta di un mezzo che la natura utilizza per produrre un risultato fa progredire le scienze più dello sforzo di collegare un risultato alla nostra rappresentazione.

Questo, è vero, è un punto molto delicato, e in futuro cercherò di esporre il mio pensiero anche su questo punto nel modo più chiaro possibile.

Poiché le forze più semplici della natura sono spesso nascoste ai nostri sensi, dobbiamo liberamente cercare di raggiungerle attraverso le forze del nostro intelletto (spirito) e di rappresentare la loro natura in noi, poiché non possiamo vederle al di fuori di noi stessi. Se siamo puri in questo, possiamo dire che, come i nostri occhi sono in armonia con gli oggetti visibili e le nostre orecchie con i movimenti vibratori dei corpi oscillanti, così il nostro spirito è in armonia con le forze più profonde e semplici della natura e può rappresentarle con la stessa purezza con cui gli oggetti del mondo visibile sono rappresentati da un occhio sano.

Gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento o al mantenimento di questi concetti puri saranno discussi in un’altra occasione. Ora penso di meritare un ringraziamento se cito un bel passo che descrive le scienze naturali a favore della rappresentazione umana e concludo con esso.

È vero: il movimento che un corpo esterno comunica ai sensi si propaga nel cervello; questo movimento stesso, queste oscillazioni del suono, questa rifrazione dei raggi di luce, non sono ciò che l’anima immagina; il suo concetto è qualcosa di completamente diverso da questo movimento. È stato così disposto dal Creatore attraverso una legge di alternanza: che a fronte di certi cambiamenti che si verificano prima nel nervo e poi nella dimora generale delle sensazioni (sensorium commune), sorgano contemporaneamente nell’anima pensieri nuovi e definiti, e che questo legame, con cui li ha ottenuti, sia costante. Ora, dipende da noi cosa vogliamo rappresentare del mondo? Ma la rappresentazione stessa non può essere falsa, perché noi riceviamo gli stessi pensieri da simili percezioni nervose; e perché, nelle stesse circostanze, sia nello stesso momento che in momenti diversi, in tutti gli uomini si producono esattamente gli stessi concetti”.

Albrecht von Haller

Traduzione di Mirko Kulig