Goetheanismo

di Mirko Kulig

L’approccio scientifico che generalmente viene proposto nelle scuole Waldorf è quello goetheanistico. È quindi appropriato parlarne in questa sede.

Premetto che non mi considera un esperto di questo tema, avendo cominciato a comprendere razionalmente questo approccio solo di recente dopo essermi impegnato per anni nello studio dei libri di Steiner e quelli di Manfred von Mackensen (autore di libri “didattici” per l’insegnamento delle scienze con approccio goetheanistico). Ritengo quindi incompleta l’illustrazione che tenterò di dare ora, e la includo solo quale stimolo ad ulteriori pensieri da parte del lettore.

Userò il confronto tra le teorie dei colori di Newton e di Goethe che sono un buon esempio dei due tipi di approccio.

Partiamo da Newton. Nel tentativo di comprendere meglio cosa sia la luce, Newton impostò il seguente esperimento:

Attraverso una sorta di cornice, Newton isolò un fascio di luce solare. Questo fascio venne fatto passare attraverso un prisma di vetro. Il fascio che usciva dal prisma di vetro era composto da vari colori, nello specifico, i colori dell’arcobaleno. Newton ne concluse che la luce bianca è composta dai diversi colori che osserviamo dopo che la luce ha attraversato il prisma.

Tempo dopo si è compreso che la luce è un’onda elettromagnetica, che ogni colore rappresenta una frequenza, e che l’associazione delle diverse frequenze crea la luce bianca. Questa è ancora la teoria ufficiale, ma nel frattempo sono stati scoperti i fotoni. Questi sono piccole particelle sub-atomiche (più piccole degli atomi) la cui esistenza spiega certi fenomeni. Il modello ondulatorio e il modello particolare sono oggi complementari. Il modello ondulatorio va bene per alcuni fenomeni, mentre quello particolare ne spiega degli altri. A seconda del fenomeno da spiegare, si usa un modello oppure l’altro.

L’obiezione primaria di Goethe alla teoria di Newton è la seguente.

Il fenomeno di luce come si manifesta normalmente è di luce diffusa nell’atmosfera che illumina l’ambiente circostante. C’è ovviamente una fonte, ma il fenomeno è unitario intorno a me. Quindi l’aver “isolato” un raggio di luce significa l’aver creato un’iniziale condizione sperimentale che differisce dalle condizioni ordinarie del fenomeno della luce. Il raggio isolato viene poi fatto passare attraverso un prisma. Ho creato quindi una seconda condizione sperimentale che è l’interazione della luce con una materia translucida. Goethe quindi obbietta che queste due condizioni sperimentali vanno tenute in considerazione prima di dare un giudizio conclusivo sul fenomeno della luce nella sua manifestazione ordinaria. Osserva che queste condizioni sperimentali hanno quale conseguenza il fatto che vi sia contatto tra luce ed ombra. Dalle sue osservazioni, in cui descrive decine di esperimenti ripetibili, Goethe conclude che i colori nascono quando luce ed ombra interagiscono sotto certe condizioni, e che in questo modo si spiega anche il fenomeno del prisma.

La teoria è più elaborata di come scritto qui, ma l’idea di base dell’approccio di Goethe vuole solo indicare che, per quanto sia giusto e scientificamente corretto creare condizioni sperimentali per studiare nel dettaglio un fenomeno, non si possono trarre conclusioni affrettate senza tenere conto delle condizioni sperimentali stesse che abbiamo creato. Per questa ragione, Goethe fece molti esperimenti nella ricerca di tratti comuni che potessero effettivamente dare una spiegazione veritiera della luce e dell’oscurità, o fornire eventuali limiti alla nostra conoscenza del fenomeno.

Riassumendo, abbiamo da un canto una teoria funzionale che ha permesso migliaia di applicazioni pratiche ma che ci ha portati, da un punto di vista logico e scientifico, in un vicolo cieco. Due teorie (modello ondulatorio e modello particolare) per spiegare lo stesso fenomeno.

Dall’altra parte abbiamo invece una teoria che si basa sulla percezione umana del fenomeno e che indaga il fenomeno sperimentalmente elaborando pensieri solo dall’osservazione diretta.

Se un’osservazione non permette di dire di più su di un dato fenomeno, o non si dice di più, o si creano condizioni sperimentali diverse per analizzare il fenomeno da un’altra prospettiva.

I modelli della realtà che abbiamo oggi, anche se funzionali, sono frutto di teorie che giungono a negare l’affidabilità della percezione quale strumento d’indagine del mondo.

Ricordo che secondo diversi scienziati di oggi, il mondo è grigio, senza odori, senza colori, senza suoni e che tutto quello che percepiamo è illusione dei sensi e creato dal nostro cervello[1].

Ma una teoria della realtà che neghi l’affidabilità della percezione quale strumento di indagine, dimentica che i concetti di base su cui è stata costruita la teoria stessa erano a loro volta conseguenza della percezione. Se parlo di “velocità di un elettrone”, non devo dimenticare che i concetti di “spazio” e “tempo” che determinano il concetto di “velocità” sono derivati dall’esperienza della percezione. Senza percezione, non si potevano creare i concetti di spazio e di tempo. Ma se la percezione non è affidabile e scientifica, allora anche i concetti di spazio e tempo non sono affidabili, e quindi anche la teoria che ne fa uso non è affidabile.

Per le ragioni spiegate nell’articolo “Il pensiero”, vi è una fondamentale contraddizione nel processo di pensiero come lo possiamo osservare in molti ambiti della scienza moderna. Il pensiero nasce dalla percezione, quindi ogni teoria (associazione di idee) che posso fare, si baserà sempre su concetti che derivano dalla percezione. Questa nuova teoria non può quindi arrivare a dire che la percezione è solo un’illusione, perché in questo modo nega la legittimità di sé stessa.


[1]     Armando Benini, M. D., neurologo, La coscienza imperfetta