La pedagogia Waldorf nell’era della tecnologia

di Mirko Kulig

Come docenti dell’era moderna dobbiamo confrontarci sempre di più con il dilagante utilizzo che viene fatto della tecnologia. Ci sono i “tradizionalisti” da un lato che sono completamente contrari all’utilizzo della tecnologia, e ci sono i “progressisti” che invece ritengono che, essendo la tecnologia un elemento della realtà odierna, andrebbe portata ai ragazzi.

Riguardo all’effetto della tecnologia sul bambino e sul ragazzo, abbiamo da un canto i promotori della tecnologia già all’asilo quale ausilio educativo, e dall’altro scienziati che sostengono che un precoce utilizzo della tecnologia sia a lungo termine dannosa per il bambino e per il ragazzo.

Anche i risultati delle ricerche e le opinioni degli “esperti” sono quindi contraddittorie.

Onde potersi fare un’idea sull’argomento, consiglio la lettura dell’articolo di Uwe Buermann, scrittore di libri sull’argomento e insegnante di tecnologia presso una scuola Waldorf in Germania.

Un’attenta analisi della società moderna a confronto con l’antroposofia e la pedagogia antroposofica, mostra due mondi completamente diversi. La pedagogia statale è generalmente favorevole all’introduzione della tecnologia nell’insegnamento, la pratica pedagogica, soprattutto nell’adolescenza e nella post-adolescenza, è mirata alle richieste del mercato del lavoro. Questo è messo in evidenza da una costante anticipazione dell’inizio degli studi, l’idea di obbligatorietà dell’asilo, ecc.

La pedagogia steineriana invece, aspira a mantenere i principi pedagogici e didattici che riconosce validi per lo sviluppo dell’essere umano.

Mi è capitato in mano tempo fa un quaderno di scuola elementare di mio padre, cresciuto negli anni ’50 in Engadina, Canton Grigioni, in una scuola statale. Se non avessi saputo che non era così, avrei pensato che fosse un quaderno di scuola Waldorf. Il quaderno era scritto a mano e includeva tanti disegni di animali.

Il gruppo di maestri di scuola statale di cui ho parlato in un altro articolo (SOS scuola) nasce dall’iniziativa di un maestro anziano di scuola statale che ha visto la pratica pedagogica e didattica cambiare durante i numerosi anni di esperienza di insegnamento.

La prima constatazione è quindi che la scuola statale si è allontanata, negli anni, dai principi pedagogici una volta riconosciuti generalmente validi.

La domanda quindi diventa se, con il cambiare della società umana, cambiano anche le esigenze per un sano sviluppo del bambino e del ragazzo.

Dalle idee esposte in questo documento deduciamo che il processo di creazione di concetti che parte dalla percezione passando dalla rappresentazione è sempre ancora un processo importante dell’apprendimento. Ritengo quindi giusto continuare ad insegnare secondo criteri antroposofici.

È però innegabile che sia i docenti che i genitori, e di conseguenza i bambini, sono cambiati quale conseguenza di questa evoluzione tecnologica.

Come è quindi possibile integrare le due realtà?

Il primo passo è che il docente, attraverso considerazioni e letture come quelle proposte in questa sede, si faccia pensieri chiari su quale deve essere il ruolo della tecnologia nella vita umana.

Questo lavoro è necessario perché con l’incredibile velocità dei cambiamenti tecnologici che osserviamo negli ultimi venti anni, non vi è quasi tempo di prendere coscienza e farsi i giusti pensieri riguardo ad una realtà, che già ne viene proposta una nuova.

Anche noi docenti siamo quindi a rischio di cadere nella trappola tecnologica. Per trappola tecnologica intendo il grande stupore e il fascino che si provano quando si ha in mano un nuovo oggetto super tecnologico. Queste emozioni ci portano spesso a dimenticare che l’oggetto tecnologico ha lo scopo originale di permetterci di lavorare meno e meglio, e non è fine a se stesso.

Questo è particolarmente difficile oggi in cui il computer ed il telefonino di 10 anni fa si sono unificati nello smartphone che è estremamente facile da usare, non richiede conoscenze a priori (come è ancora il caso per il computer), e propone un’innumerevole quantità di cosiddette App (applicazioni), che, in buona percentuale, non servono per lavorare ma solo per intrattenimenti vari (giochi, social networks, video, musica, ecc.).

Spesso, quando incontro qualcuno con lo smartphone, mi mostra quanto belle e utili sono le ultime App che ha installato. Mi mostra magari una App che fornisce, puntando il telefono verso il cielo notturno, il nome di tutte le stelle della parte di cielo osservata. Allora, stupito, dico all’amico che non sapevo che si interessasse di astronomia. Risulta poi dalla discussione che è sempre ancora così (non si interessa di astronomia), ma che comunque l’App può essere utile. Sono d’accordo, è una bella App. Il punto è che il tempo trascorso a scaricare e provare tutte le App che esistono non si giustifica se poi le App non si usano per interesse o lavoro ma si fanno solo vedere agli altri per esaltare le qualità dello strumento tecnologico.

Vi è poi il discorso dei social networks. Ho fatto parte per anni di diversi social networks. Vi sono naturalmente vari utilizzi che si possono fare di questi canali, e non si può quindi categoricamente dire che vanno bene o vanno male. Dipende da che uso se ne fa. Se servono a creare gruppi di persone con idee condivise e che quindi si trovano facilitate nelle comunicazioni, non ci vedo personalmente nulla di male. Per quanto riguardo gli incontri, le “amicizie”, ed in generale i rapporti sociali del tempo libero, vi è il grande rischio di cadere nel paradosso di avere 300 amici su Facebook, e neanche uno reale con cui andare a giocare a tennis o uscire a cena. La mia esperienza mi ha mostrato come, attraverso la stesura del “profilo” sul social network e i conseguenti scambi di messaggi chat, molte persone creano un’immagine virtuale di se stesse. Sul social network sono quello che vorrebbero essere ma che non sono nella vita. Attraverso una comunicazione di messaggi scritti, si possono dire cose che non si direbbero se ci si trovasse a quattr’occhi. La realtà sociale virtuale, se non gestita bene, tende a sostituire la realtà sociale della vita normale. Di questo il docente dovrebbe essere consapevole.

Senza entrare in giudizi su cosa è giusto e cosa è sbagliato, appare evidente che bisogna tener conto delle implicazione sociali e umane quando si parla di smartphone, computer, media e internet. La questione non è solo di tipo tecnologico perché è resa possibile dalla tecnologia, ma anche di tipo umano.

Per tornare a questioni più pedagogiche, il docente di oggi si trova quindi confrontato con ragazzi che ovviamente desiderano la tecnologia come gli adulti, e che spesso hanno anche un facile accesso ad essa. Il lavoro principale dei docenti diventa quindi, oltre che tutelare i ragazzi quando sono a scuola, di provare a portare questi concetti anche ai genitori. Se il bambino o ragazzo vede il genitore che utilizza il suo smartphone tutto il tempo, c’è da attendersi che ne vorrà uno anche lui. Dalla mia esperienza, basta che un ragazzo della classe venga a scuola un giorno con un nuovo gadget tecnologico, e subito si moltiplicheranno gli allievi che ne acquistano uno. Questo è normale.

Solo attraverso una sensibilizzazione nostra e la conseguente sensibilizzazione dei genitori possiamo quindi sperare di responsabilizzarli riguardo al tema della precoce tecnologizzazione di bambini e ragazzi.