di Mirko Kulig
Seguono alcune citazioni che caratterizzano gli obbiettivi pedagogici di una scuola Waldorf.
In relazione all’adolescenza, sul libro di Tobias Richter “Pädagogischer Auftrag und Unterrichtsziele – vom Lehrplan der Waldorfschule” (Compito pedagogico e obbiettivi di insegnamento del piano di studi della scuola Waldorf) leggiamo[1]:
Rudolf Steiner riassume questo processo nella “nuova, terza nascita”, quella dell’anima senziente o corpo animico. […] Prima di questa “terza nascita” le sorgenti della vita animica erano le sensazioni. Ora necessitano di un nuovo livello di indipendenza. L’interiorità si pone di fronte all’esteriorità in una relazione che deve ancora essere configurata. Questa relazione viene costruita, tra le altre cose, attraverso il giudizio. Tutti i contenuti di insegnamento dovrebbero andare incontro a questo bisogno, incitarlo e soddisfarlo. Soddisfare non significa in questo caso acquietare – nulla è più estraneo a questa epoca di civilizzazione che la quiete -, ma piuttosto portare nella vita del ragazzo l’esperienza di leggi accessibili e verificabili attraverso il pensare, che vengono scoperte quali verità.
[…] Intorno al sedicesimo anno si può considerare conclusa la crisi e la drammaticità della pubertà. […] Si rafforza la propensione al lavoro serio. Questa serietà corre anche il rischio di diventare eccentrica: “Il giovane si attribuisce in tutta modestia un ruolo essenziale per la guarigione dell’umanità e plasma la sua vita in accordo con questa rappresentazione”[2]. Qui il docente può e deve aiutare, per esempio sollecitando lo sviluppo del giudizio. Il giovane deve imparare a procedere oggettivamente nel giudicare. Viene chiaramente sentito e cercato un “ideale”, nel proprio essere come pure nell’essenza degli altri e del mondo. Quello che viene trovato attraverso questo gesto di ricerca raramente soddisfa la richiesta ideale, ed i commenti sono inequivocabili e spietati. Il giovane può facilmente diventare uno scettico. La scienza portata dal docente deve innanzitutto apparire nei suoi processi di conoscenza riusciti. Il pessimismo sulla conoscenza non è favorevole allo stato d’animo in questa età, anche se può risuonare nelle parole dei giovani. Se si esterna, pone un’intimazione all’adulto: dimostrami che non è così. “L’età giovanile getta l’ombra su di una tragedia oggettiva: il giovane trova solo raramente l’immagine di ciò che cerca: l’adulto autodeterminato”[3].[…] La ricerca di autenticità e verità concretizza la ricerca dell’ideale irrealizzabile. Il compito del docente è quello di portare all’allievo esperienze positive, perché se questo non avviene, il giovane uomo “non trova nulla che possa fornire una base per la sua esistenza nel suo essere qui con continuità e direzione sub specie aeternitatis. Rimane vuoto; si trova instabile nella corrente del tempo”[4].
Un’educazione che si orienta a domande esistenziali di questo genere, non può mai essere senza valore. Se in precedenza il docente aveva il suo compito nell’essere colui che sceglie, valuta e trasmette, ora può e deve essere vissuto dai giovani nelle sue domande e nelle sue ricerche. Ciò che ha carattere stimolante ed evolutivo non sono solo i risultati, ma piuttosto i processi in cui si trova il decente ed in cui forma e sviluppa se stesso. Il docente che rimane un uomo in divenire, ha successo in questa fascia di età.
“Non abbiamo il compito di trasmettere convinzioni alle prossime generazioni. Dobbiamo portarli ad utilizzare la loro forza di giudizio e la capacità di farsi un’idea. Devono imparare a guardare il mondo con gli occhi aperti. Questo non dipende dal fatto che siamo o meno convinti della veridicità di quello che portiamo loro. Le nostre convinzioni valgono solo per noi. Le portiamo alla gioventù per dire loro: noi vediamo il mondo cosi; vedete un po’ come appare a voi. Dobbiamo risvegliare capacità, non trasmettere convinzioni. La gioventù non deve credere alle nostre <verità>, ma alle nostre personalità. I giovani devono accorgersi che siamo alla ricerca. E noi vogliamo portarli sulla strada della ricerca.”[5]
Riguardo alla conclusione dei 12 anni di scuola, leggiamo[6]:
Non è la maturità che determina la conclusione del periodo scolastico, ma piuttosto la conclusione di un apprendistato, per esempio di falegname, giardiniere, elettricista, fabbro, sarto, o una formazione nel sociale. Così vuole una pedagogia che si sente in dovere nei confronti di tutta la biografia, che considera l’istituzione scolastica quale preparazione alla scuola più grande, quella di vita. […]
Questo compito formativo nei confronti dei ragazzi si deve concretizzare nella pratica in tre modi:
Nell’acquisire fiducia nella terra ed i compiti che pone
Nello sperimentare il mondo nella sua sempre crescente molteplicità
Nella scoperta della propria individualità
Preparato in questo modo, il giovane uomo può portare un contributo individuale quale personalità autonoma alla società e al suo tempo in modo libero e responsabile imparando a plasmarne lo sviluppo futuro.
Per la pratica pedagogica nelle scuole Waldorf questo significa che lo sviluppo di capacità intellettuali deve essere unito alla promozione della fantasia e alla formazione del carattere. Le attività artistiche e pratiche hanno quindi importanza uguale allo sviluppo cognitivo e alla trasmissione della conoscenza; dovrebbero compenetrarsi reciprocamente.
La formazione non si raggiunge solo attraverso l’allenamento intellettuale, ma è un processo olistico. La pedagogia non si può limitare ai contenuti di insegnamento, riguarda l’intero uomo. Se si riesce a sviluppare l’intelletto, il sentimento ed il volere in maniera equilibrata, e se si riesce a portare libertà, uguaglianza e fratellanza, docenti e allievi possono ritenere di avere avuto successo. Allora i giovani uomini non rifiuteranno le sfide della vita, non si rassegneranno quando c’è la crisi, ma si aiuteranno a trovare e percorrere nuove vie in maniera sensata. La conformazione di ogni lezione diventa “arte dell’educazione”; perché il metodo utilizzato nell’insegnamento è nella sua realizzazione un lavoro artistico, e presuppone un docente che continua a svilupparsi creativamente. Allo stesso tempo, è un metodo della puntualità: la giusta materia portata in maniera giusta nel momento giusto.
Se il docente riesce ad elaborare e a comprendere le leggi dello sviluppo – e questa richiesta viene portata al docente Waldorf – acquista la capacità di “leggere” nell’essere umano. Le singole manifestazioni fisiologiche e animiche sul percorso di sviluppo dei giovani uomini sono come lettere che attendono di essere messe adeguatamente in collegamento (in cui con adeguatamente non si intende l’interpretazione di uno stato momentaneo, ma in cui si costruisce la capacità di afferrare l’intera essenza dell’uomo. […]).
Quando questo “saper leggere nella natura umana” porta ad azioni pedagogiche che stimolano l’essere intero del giovane in crescita, il docente ha acquisito competenza educativa. “Può assumersi la piena responsabilità educativa nell’ambito dell’educazione scolastica … L’antropologia diventa pratica solo sempre nel singolo docente. Per lui il piano di insegnamento non è una prescrizione a cui deve adempiere. Perché il piano di insegnamento risulta dalle condizioni di sviluppo in una specifica età”[7].
Riguardo alla capacità di giudizio, nel 1920 Steiner dice[8]:
Possiamo dire: l’effettivo portatore della capacità di giudizio umana, ciò che nell’uomo contiene le forze per dare un giudizio, questo nasce nell’uomo sostanzialmente con la maturità sessuale e si predispone lentamente alla nascita dal 12o anno di età.
Se si conosce ciò e lo si apprezza nel modo giusto, allora si è anche consapevoli di che responsabilità si prende se si abituano gli uomini troppo presto al giudizio autonomo.
Abbiamo detto: l’uomo deve essere educato in modo che fino alla maturità sessuale si trova sotto l’influsso dell’autorità, che riconosce qualsiasi cosa perché così vuole l’autorità che naturalmente agisce accanto a lui. Se abituiamo il bambino a stare nel modo giusto con noi docenti, con noi educatori, a prendere da noi la verità perché la rappresentiamo quali autorità, proprio allora prepariamo il bambino nel modo giusto per avere più tardi in vita un giudizio libero e autonomo. Se non vogliamo stare accanto al bimbo in quanto autorità naturale, se in un certo senso vogliamo scomparire, e esigiamo tutto a partire dalla natura infantile, allora lavoriamo su questo bimbo così da promuovere la sua capacità di giudizio troppo presto, prima che ciò che chiamiamo corpo astrale, con la maturità sessuale, compaia libero in modo indipendente; elaboriamo ciò che chiamiamo corpo astrale, nel periodo in cui agisce ancora dentro la natura fisica del bambino.
In questo modo imprimiamo nel bambino, oso esprimermi così, nella sua carne, quanto dovremmo solo imprimere nella sua anima. In questo modo però prepariamo qualcosa nel bambino che vivrà il lui per tutta la vita come un parassita. Perché è qualcosa di molto diverso se raggiungiamo la maturità di libero giudizio quando siamo ben preparati nel 14o, 15o anno di vita, in cui il corpo astrale, che può essere il portatore del giudizio, è divenuto libero, o se veniamo portati al cosiddetto giudizio autonomo in età più giovane. Nel secondo caso, non sarà l’astrale, il nostro animico, ad essere portato al giudizio autonomo, ma lo sarà il corpo. Il nostro corpo però lo accoglierà con tutte le sue caratteristiche, col suo temperamento, con le sue qualità del sangue, con tutto ciò che in lui desta antipatia e simpatia, con tutto ciò che non gli da oggettività. In altre parole: se il bambino deve poter giudicare già tra il 7o ed il 14o anno, allora giudicherà da quella parte della natura umana che non potrà più essere abbandonata in seguito, se non facciamo in modo che venga accudito secondo natura durante la scuola elementare, e ciò significo attraverso l’autorità. Se lasciamo giudicare troppo presto, allora giudicherà il corpo per tutta la vita. Rimaniamo un uomo oscillante nel nostro giudizio, che dipenderà dal nostro temperamento, da tutto ciò che c’è nel corpo. Se invece veniamo preparati come lo richiede la natura del nostro corpo, come il corpo esige per sua natura, veniamo educati nel giusto periodo sull’appoggio all’autorità, allora ciò che deve giudicare in noi diventerà libero nel modo giusto, allora potremmo ottenere la capacità di giudizio oggettivo anche più tardi nella vita. La migliore preparazione alla personalità umana libera e autonoma è di non portare il bambino a questa personalità libera troppo presto, ma alla giusta età.
Questa è una di quelle
cose che possono alterare tanto, se non vengono applicate nel modo giusto
nell’arte pedagogica. Nel nostro tempo è decisamente difficile rendere molto
attenti su tutto ciò. Troverete che se parlo dell’argomento di cui stò parlando
in questo momento, al mondo esterno di oggi, a coloro che non sono preparati e
che non portano buona volontà, predicherete ad orecchi sordi. Viviamo molto di
più di quanto pensiamo nell’era del materialismo, e questa era del materialismo
dovrebbe essere conosciuta molto bene proprio dal pedagogo. Il pedagogo
dovrebbe essere perfettamente consapevole di quanto materialismo bolle
(schäumt) in tutta la cultura attuale, precisamente nell’atteggiamento
interiore del nostro tempo.
[1] Il libro di Richter è diventato negli ultimi anni il più autorevole e diffuso manuale sul programma di insegnamento delle scuole Waldorf (traduzione di M. Kulig)
So fasst Rudolf Steiner diesen Vorgang als eine «neue, dritte Geburt», eben der des Empfindungs- oder Seelenleibes, zusammen. […] Vor dieser «dritten Geburt» waren die Empfindungen der Quell des seelischen Lebens. Nun erlangen sie eine neue Stufe der Selbstständigkeit. Das Innere tritt dem Äußeren in einer noch zu gestaltenden Beziehung gegenüber. Diese Beziehung wird u.a. durch das Urteil hergestellt. Alle Unterrichtsinhalte sollten diesem Bedürfnis entsprechen bzw. es anregen und befriedigen. Hierbei meint Befriedigung nicht Beruhigung – nichts ist dieser Entwicklungsepoche fremder als satte Ruhe! -, sondern das Erlebnis einer dem Denken zugänglichen und nachprüfbaren Gesetzlichkeit, die als wahr entdeckt wird. […]
Etwa mit dem sechzehnten Lebensjahr kann die Krise und Dramatik der Pubertät als abgeschlossen angesehen werden. […] Es verstärkt sich die Neigung zu ernsthafter Arbeit. Allerdings läuft die Ernsthaftigkeit auch Gefahr, exzentrisch zu werden: «Der Jugendliche schreibt sich in aller Bescheidenheit eine wesentliche Rolle für das Heil der Menschheit zu und gestaltet seinen Lebensplan gemäß dieser Vorstellung.» Hier muss und kann der Lehrer helfen, wenn er beispielhaft die Urteilsbildung anregt. Der Jugendliche soll lernen, im Urteilen sachgerecht vorzugehen. Deutlich wird ein «Ideales» empfunden und gesucht – im eigenen Wesen genauso wie im Wesen der anderen und in der Welt. Was während dieser Suchbewegung gefunden wird, genügt selten dem idealen Anspruch, und die Kommentare sind eindeutig und erbarmungslos. Leicht kann der Jugendliche da zum Skeptiker werden. Die Wissenschaft, wie sie der Lehrer vorstellt, soll vor allem in ihren gelungenen Erkenntnisschritten auftreten. Erkenntnispessimismus ist der Seelenverfassung in diesem Lebensalter nicht förderlich, obwohl er in den Worten der Jugendlichen durchaus anklingen kann. Äußert sich dieser, so stellt das eine Aufforderung an die Erwachsenen dar: Zeigt mir, dass es nicht so ist. «Das Jugendalter überschattet eine ganz objektive Tragik: Der Jugendliche findet nur selten das vorgelebt, was er sucht – den selbstbestimmten Erwachsenen.» […] Die Suche nach Echtheit und Wahrheit hat die Suche nach dem unerfüllbaren Ideal konkretisiert. Die Aufgabe des Lehrers liegt darin, den Jugendlichen dabei positive Erfahrungen zu ermöglichen, denn wenn dies nicht gelingt, findet der junge Mensch «nicht zu einer Gründung seiner Existenz in dem, was seinem Dasein Bestand und Richtung sub specie aeternitatis gibt. Er bleibt leer; haltlos steht er im Strom der Zeit.».
Erziehung, die sich an solchen Lebensfragen orientiert, kann niemals wertfrei sein. Hatte früher der Lehrer als Wählender, Abwägender und Vermittelnder seine Aufgabe, darf und muss er nun in seinen eigenen Fragestellungen, seinem Forschen und Suchen von den Jugendlichen erlebt werden. Nicht die Resultate allein, vielmehr die Prozesse, in welchen der Lehrer darinnen steht und sich selbst erzieht und entwickelt, sind es, die ermunternden, entwickelnden Charakter haben. Der Lehrer, der selber ein Lernender bleibt, ist hier erfolgreich.
«Wir haben nicht die Aufgabe, unserer heranwachsenden Generation Überzeugungen zu überliefern. Wir sollen sie dazu bringen, ihre eigene Urteilskraft, ihr eigenes Auffassungsvermögen zu gebrauchen. Sie soll lernen, mit offenen Augen in die Welt zu sehen. Ob wir an der Wahrheit dessen, was wir der Jugend überliefern, zweifeln oder nicht: darauf kommt es nicht an. Unsere Überzeugungen gelten nur für uns. Wir bringen sie der Jugend bei, um ihr zu sagen: So sehen wir die Welt an; seht zu, wie sie sich euch darstellt. Fähigkeiten sollen wir wecken, nicht Überzeugungen überliefern. Nicht an unsere <Wahrheiten> soll die Jugend glauben, sondern an unsere Persönlichkeit. Dass wir Suchende sind, sollen die Heranwachsenden bemerken. Und auf die Wege der Suchenden sollen wir sie bringen.».
[2] J. Piaget, Theorien und Methoden der modernen Erziehung
[3] E. Fucke, Grundlinien einer Pädagogik des Jugendalters
[4] W. Fischer, Der junge Mensch
[5] Rudolf Steiner, GA31
[6] Nicht das Abitur (Matura) und die Fachhochschulreife bilden hier den Abschluss der Schulzeit, sondern eine abgeschlossene Lehre, z.B. als Tischlerln, Gärtnerin, Elektroinstallateurln, Metallarbeiterln, Damenschneiderin, oder eine sozialberufliche Ausbildung. So kommt es einer Pädagogik zu, die sich der Gesamtheit der Biografie verpflichtet fühlt, die institutionelle Schule als Vorbereitung auf die viel größere, auf die Lebensschule zu sehen. […]
Auf dreierlei Weise muss sich diese Erziehungsaufgabe in der Praxis für den heranwachsenden Menschen konkretisieren:
- im Vertrautwerden mit der Erde und den Aufgaben, die sie stellt
- im Erfahren der Welt in ihrer den Blick fortwährend weitenden Vielfalt
- im Entdecken der eigenen Individualität.
In diesem Sinne vorbereitet, soll der junge Mensch frei und verantwortungsvoll als selbstständige Persönlichkeit in der Gesellschafts- und Zeitsituation einen individuellen Beitrag leisten und die zukünftige Entwicklung mitgestalten lernen.Für die Erziehungspraxis der Waldorfschule bedeutet das, dass die Schulung des intellektuellen Vermögens mit der Pflege der Fantasiekräfte und der Bildung des Charakters zu vereinen ist. Daher werden die künstlerischen und praktischen Tätigkeiten als gleichwertig gegenüber dem kognitiven Unterricht und der Vermittlung von Wissen angesehen; sie sollen sich gegenseitig durchdringen. Bildung wird nicht allein durch intellektuelles Training erreicht, sondern ist ein ganzheitlicher Vorgang. Pädagogik darf sich nicht auf fachliche Inhalte beschränken, sie betrifft den ganzen Menschen. Wenn es gelingt, Intellekt, Gefühl und Willen gleichermaßen zu entwickeln und zu fördern, Freiheit, Gleichheit und Brüderlichkeit zu vermitteln und zu leben, können sich Schüler oder Lehrer als «erfolgreich» sehen. Dann werden Menschen sich den Herausforderungen des Lebens nicht verweigern, in Krisen nicht resignieren, sondern vielmehr mithelfen, Sinn zu stiften, neue Wege zu finden und sie selbst zu gehen. Die Gestaltung jedes Unterrichts wird zur «Erziehungskunst»; denn die Methode jeglichen Unterrichtens ist in ihrer Verwirklichung eine künstlerische Arbeit und setzt den sich selbst weiter entwickelnden, schöpferischen Lehrer voraus. Zugleich ist sie eine Methode der Rechtzeitigkeit: der rechte Stoff in rechter Form zur rechten Zeit.
Vermag es der Lehrer, sich die Entwicklungsgesetze zu erarbeiten und zu verstehen – und eine solche Forderung ist an den Waldorfpädagogen zu stellen -, hat er sich befähigt, im Menschenwesen «zu lesen»: Die einzelnen physiologischen sowie seelischen Erscheinungen im Entwicklungsgang des heranreifenden jungen Menschen sind wie Buchstaben, die darauf warten, in einen sachgemäßen Zusammenhang gebracht zu werden. (“Wobei mit «sachgemäß» nicht die Interpretation eines momentanen Zustandes gemeint ist, sondern auf das Vermögen baut, die gesamte Wesenheit des Menschen zu erfassen. […].)
“Wenn dieses «Lesenkönnen der Menschennatur» zu pädagogischen Handlungen führt, die den heranwachsenden Menschen in Bezug auf sein ganzes Wesen fördern, hat ein Lehrer dadurch erzieherische Kompetenz erworben. «Er kann die erzieherische Verantwortung, soweit sie in den Bereich schulischer Erziehung fällt, voll übernehmen … Lebenspraktisch wird Anthropologie aber immer nur im einzelnen Lehrer. Für ihn ist dann der Lehrplan keine Vorschrift, die er zu erfüllen hat. Denn der Lehrplan ergibt sich ihm aus den Bedingungen für die Entwicklung in einem bestimmten Lebensalter.»
[7] E. M. Kranich in F. Bohnsack, Erziehungswissenschaft und Waldorfpädagogik
[8] O.O. 301
So daß wir sagen können: der eigentliche Träger des menschlichen Urteilsvermögens, dasjenige im Menschen, was die Kräfte enthält, die ein Urteil hervorbringen, das wird im Menschen im Grunde genommen erst mit der Geschlechtsreife geboren und bereitet sich langsam zur Geburt vor vom 12. Jahre ab.
Wenn man dies weiß und richtig würdigen kann, dann ist man sich auch bewußt, welche Verantwortung man übernimmt, wenn man den Menschen zu früh an selbständiges Urteil gewöhnt. Ja, in dieser Beziehung herrschen ja insbesondere in der Gegenwart die allerverderblichsten Vorurteile: man möchte so früh wie möglich den Menschen an selbständige Urteile gewöhnen.
Wir haben gesagt: der Mensch ist so zu halten bis zur Geschlechtsreife reife, daß er unter dem Einfluß der Autorität steht, daß er anerkennt irgend etwas deshalb, weil es die selbstverständlich neben ihm wirkende Autorität eben gebietet, eben so will. Wenn wir das Kind gewöhnen, in der richtigen Weise zu uns als Lehrer, als Erzieher zu stehen und hinzunehmen die Wahrheit, weil wir sie als Autorität vertreten, gerade dann bereiten wir das Kind in der richtigen Weise vor, später im Leben ein freies, ein selbständiges Urteil haben zu können. Wollen wir nicht als selbstverständliche Autorität neben dem Kinde stehen, wollen wir gewissermaßen verschwinden, und fordern alles der kindlichen Natur ab, dann bearbeiten wir dieses Kind so, daß wir seine Urteilsfähigkeit zu früh herausfordern, ehe das, was wir also astra-lischen Leib nennen, mit der Geschlechtsreife erst selbständig frei erscheint; wir bearbeiten das, was wir so astralischen Leib nennen, indem es noch in der physischen Natur des Kindes drinnen wirkt. Dadurch prägen wir dem Kinde, wenn ich mich jetzt so ausdrücken darf, in sein Fleisch ein dasjenige, was wir ihm nur einprägen sollten in seine Seele. Dadurch aber bereiten wir in dem Kinde etwas vor, was sein ganzes Leben als ein Schädling in ihm leben wird. Denn es ist etwas ganz anderes, ob wir zum freien Urteil, nachdem wir gut vorbereitet sind, im 14., 15. Jahre heranreifen, wo der astralische Leib, der der Träger des Urteils sein kann, frei geworden ist, oder ob wir früher herangezogen werden zum sogenannten selbständigen Urteil. Im letzten Fall wird nicht unser Astralisches, das heißt unser Seelisches, herangezogen zum selbständigen Urteil, sondern da wird unser Leib herangezogen. Unser Leib aber wird herangezogen mit allen seinen naturgemäßen Eigenschaften, mit seinem Temperamente, mit seiner Blutbeschaffenheit, mit alledem, was in ihm Sympathie und Antipathie hervorruft, mit alledem, was ihm keine Objektivität gibt. Mit anderen Worten, wenn das Kind zwischen dem 7. und 14. Jahre schon selbständig urteilen soll, so urteilt es aus demjenigen Teil der Menschennatur heraus, der später niemals wiederum abgestreift werden kann, wenn wir nicht dafür sorgen, daß er selber in naturgemäßer Weise in der Volksschulzeit versorgt wird, nämlich durch Autorität. Lassen wir zu früh urteilen, so urteilt der Leib das ganze Leben hindurch. Dann bleiben wir ein schwankender Mensch in unserem Urteil, der abhängig ist von seinem Temperament, von allem möglichen in seinem Leibe. Werden wir so vorbereitet, wie es der Natur unseres Leibes entspricht, wie der Leib es fordert durch seine eigene Natur, werden wir zur rechten Zeit in Anlehnung an die Autorität erzogen, dann wird in der richtigen Weise frei dasjenige, was urteilen soll in uns, dann werden wir später auch im Leben ein objektives Urteil gewinnen können. So ist die beste Vorbereitung zur selbständigen, freien menschlichen Persönlichkeit die, wenn wir das Kind nicht zu früh zu dieser freien Persönlichkeit bringen, sondern im rechten Lebensalter.
Das ist eines von den Dingen, die viel verderben können, wenn sie nicht in der rechten Weise gerade in der pädagogischen Kunst angewendet werden. In unserer Zeit ist es nun eigentlich recht schwierig, auf dieses alles intensiv genug aufmerksam zu machen. Sie werden finden, wenn Sie über diesen Gegenstand, wie ich selbst hier spreche, zur heutigen Außenwelt sprechen, zu denjenigen, die ganz und gar unvorbereitet sind und auch keinen guten Willen mitbringen, daß Sie heute sehr, sehr werden vor tauben Ohren predigen. Wir leben eben einmal vielmehr, als wir es denken, im Zeitalter des Materialismus, Und dieses Zeitalter des Materialismus, es sollte eigentlich genau gekannt sein gerade von den Pädagogen. Der Pädagoge sollte sich genau bewußt sein, wie viel Materialismus in unserer ganzen Zeitkultur, namentlich aber in unserer Zeitgesinnung, schäumt.