Sulla tripartizione della lezione di epoca

Mirko Kulig, 2016

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Una rapida ricerca su internet con i termini “rhythmischer Teil” (parte ritmica) fornisce tutta una serie di risultati sulle pagine di presentazione di scuole Waldorf. Sulla pagina della scuola X, per esempio viene detto:

Indipendentemente dalla materia, la lezione mattutina si struttura in tre parti: parte ritmica, parte di apprendimento della materia, parte di racconto.

Sulla pagina della scuola Y leggiamo:

La parte ritmica si trova di regola all’inizio della lezione di epoca. In essa il docente conduce gli allievi in svariati esercizi linguistici, musicali e di movimento, adatti al rispettivo stadio di sviluppo dei bambini. Nelle elementari possono essere esercizi delle dita, canzoni e danze, nelle classi medie e superiori sono spesso recitazioni di poesie, canzoni adatte all’età, giochi di movimento ed esercizi. […] Nella parte di apprendimento viene trattato l’effettivo contenuto della lezione. […] Dopo il processo di inspirazione della parte di apprendimento, gli allievi si rallegrano di poter ascoltare rilassati alla parte di racconto come conclusione della lezione.

E ancora, sulla pagina web della scuola Z leggiamo:

Nelle classi elementari viene fatta una parte ritmica all’inizio della lezione di epoca con canzoni e altri elementi di linguaggio e artistici, che rinfrescano e vitalizzano i bambini. In queste classi la lezione di epoca si chiude con una storia relativa al tema dell’anno. Più si sale di classe, più diventano corte la parte ritmica e la parte di racconto e più va in primo piano la parte di apprendimento.

Questa tripartizione della lezione, strutturata in parte ritmica, parte di apprendimento e parte di racconto, appare essere quindi una pratica affermata e diffusa nelle scuole Waldorf tedesche.

Nel 2010, sulla pubblicazione del Goetheanum “Rundbrief Nr. 38 der Pädagogischen Sektion am Goetheanum” (Circolare Nr. 38 della sezione pedagogica del Goetheanum) è apparso un articolo di Christof Wiechert, allora responsabile della sezione pedagogica del Goetheanum, dal titolo: “Zur Frage der Dreiteiligkeit des Hauptunterrichtes” (Sulla questione della tripartizione della lezione di epoca), nella cui introduzione leggiamo:

Nel seguente articolo verrà esposto come la suddivisione classica della lezione di epoca dalla prima classe fino all’ottava classe in parte ritmica, parte di lavoro e parte di racconto plasmino i processi vitali di una classe in questo periodo del mattino. Questo plasmare è forte e viene considerato senza discussioni una delle caratteristiche essenziali delle scuole Waldorf. Verrà mostrato che per questa suddivisione non esiste alcun riferimento nelle esternazioni o nelle indicazioni di Steiner. Verrà inoltre mostrato come questa suddivisione sia di ostacolo al necessario fare ritmico ed artistico e che rappresenta un freno per i processi di apprendimento. Verrà anche mostrato come questa suddivisione della mattina contraddica parti importanti dell’antropologia. Per concludere verrà mostrato come gli allievi vengano giudicati nel loro comportamento sulla base di questa tripartizione.

E sulla terza pagina dell’articolo, Wiechert scrive:

In merito alla tripartizione della lezione d’epoca, non esiste alcun riferimento nel lavoro di Steiner, sia nelle conferenze che nel corpo delle discussioni. Questo non deve necessariamente essere  il caso, se venisse sviluppato qualcosa di sensato. Il nuovo deve però poi essere comprensibile in relazione all’antropologia.

Non volendo entrare nei dettagli dell’articolo di Wiechert, mi limito a constatare che vi sono pratiche pedagogiche diffuse nelle scuole Waldorf che, come riportato da Wiechert, non sembrano avere alcuna base fondata sulle indicazioni fornite da Rudolf Steiner.

Dalle mie ricerche in merito, ritengo comunque che vi siano conferenze di Rudolf Steiner in cui lui parla di una tripartizione della lezione, anche se non viene definita esattamente in questi termini.

Nella conferenza del 14 giugno 1921 a Stoccarda Steiner dice:

Prendiamo ad esempio l’insegnamento della fisica. Facciamo qualche esperimento col ragazzo. […] possiamo così dire: mentre sperimentiamo, viene coinvolto tutto l’uomo. […] Facendo dunque esperimenti, impegno tutto il ragazzo, ma lo sforzo è eccessivo. Poi svio l’attenzione dei ragazzi dagli apparecchi che ho usato e ripasso tutto. Mentre faccio appello al ricordo di quanto si è sperimentato direttamente, ripasso tutto. Quando si ripassa qualcosa, quando quasi lo si riassume, lo si passa in rassegna senza che vi sia l’osservazione, e ne risulta particolarmente vivificato il sistema ritmico. Dopo aver coinvolto il ragazzo nel suo complesso, ora mi appello al suo sistema ritmico e al suo sistema della testa, perché ricapitolando metto in azione anche la testa. Posso chiudere in tal modo la lezione. Prima ho messo in azione tutto il ragazzo, poi di più il sistema ritmico; infine l’alunno va a casa e più tardi dorme. Nel sonno, ciò che ho messo in azione prima in tutto il ragazzo, poi nel sistema ritmico, continua a vivere nelle membra, quando corpo astrale e io sono usciti.

Ora vogliamo osservare ciò che rimane nel letto e che fa risuonare quanto ho svolto col ragazzo: tutto quel che si è formato nel ragazzo nel suo complesso e quel che si è formato nel sistema ritmico fluisce per così dire nel sistema della testa. Se ne formano immagini nel sistema della testa. Il ragazzo se le trova pronte quando si desta il mattino seguente e viene a scuola. È proprio così: quando il giorno seguente tornano a scuola, i ragazzi hanno nella testa, senza saperlo, le immagini delle sperimentazioni che ho presentato ieri e che poi ho ripassato in immagini, e tutto è nella testa come un’immagine. Al mattino seguente ho in classe ragazzi che hanno in testa fotografie di quanto ho sperimentato ieri; i ragazzi vengono a scuola così.

Dunque all’indomani li posso far riflettere, far pensare su ciò che il giorno precedente ho sperimentato e poi ripetuto come un racconto, più per la fantasia; ora riconsidero il tutto. Qui vengo incontro al divenire coscienti delle immagini che devono diventare coscienti. Faccio dunque una lezione di fisica, faccio esperimenti, ripeto davanti ai ragazzi ciò che è accaduto; il giorno seguente svolgo i pensieri che portano il ragazzo a conoscere le leggi di quanto è avvenuto.

Già in questa descrizione e soprattutto nella frase conclusiva si possono riconoscere 3 fasi, ripartite su due giorni: faccio esperimenti, ripeto davanti ai ragazzi ciò che è accaduto, il giorno seguente svolgo pensieri su quanto è accaduto.

Steiner continua poi nella stessa conferenza:

Supponiamo che io dia una lezione di storia. […] Oggi racconto ai ragazzi i nudi fatti, quelli che avvengono sensibilmente nei luoghi e nel tempo. Questo afferra il ragazzo tutto, come il fare esperimenti, perché egli è obbligato a pensare spazialmente. […] Fatto questo, cerco di riferirmi un po’ alle persone che si sono presentate, o ad avvenimenti accaduti, non però raccontando realmente, ma incominciando a caratterizzare; guido così l’attenzione su ciò che prima ho presentato, ma caratterizzandolo un po’. Dopo queste due tappe prima impegnando tutto il ragazzo e poi, caratterizzando, impegnando la sua parte ritmica, lascio andare il ragazzo. Domani lo accolgo in classe, ed egli mi riporta nella testa le fotografie spirituali di quanto era stato fatto il giorno precedente. Gli vado incontro, considerando per esempio se Mitridate o Alcibiade fossero o no uomini onesti, dunque facendo considerazioni. Un giorno devo presentare più ciò che caratterizza obbiettivamente, il giorno seguente ciò che giudica e riflette; con questo agisco in modo che i tre sistemi dell’essere umano tripartito si connettano realmente nel giusto modo.

Anche in questo estratto si riconoscono tre fasi: oggi racconto ai ragazzi i nudi fatti, poi caratterizzo i fatti, il giorno dopo faccio considerazioni.

Nel capitolo “Lehr- und Lernprozesse” (Processi di insegnamento e apprendimento) del libro di Tobias Richter “Pädagogischer Auftrag und Unterrichtsziele  – vom Lehrplan der Waldorfschule” (Compito pedagogico e obbiettivi di insegnamento del piano di studi della scuola Waldorf) leggiamo:

[…] In questo modo la metodica di insegnamento e apprendimento costruisce ogni processo sulla ritmica successione delle tre fasi riconoscere, comprendere e padroneggiare dei contenuti con:

  1. vivere, osservare, sperimentare
  2. ricordare, descrivere, caratterizzare, disegnare
  3. rielaborare, analizzare, astrarre, generalizzare (costruzione di teorie)

Si deve però tenere conto che la terza fase di “affermazione del contenuto di insegnamento ” non deve essere raggiunta all’interno della stessa ora di insegnamento.

Dopo il vivere (1.) e il descrivere (2.) viene inserita una pausa nella quale, anche attraverso la notte, diventa possibile prendere distanza da quanto accolto. Solo il giorno seguente si compie l’ultimo passo di apprendimento.

Appare evidente come Richter si sia basato certamente anche sulla conferenza citata per riconoscere queste 3 fasi della lezione suddivise in due giorni, con 1a e 2a fase il primo giorno e 3a fase il secondo giorno. Questa tripartizione differisce notevolmente da quella analizzata da Wiechert di cui si è parlato all’inizio dell’articolo. In quest’ultima le tre fasi si svolgono lo stesso giorno, mentre in quella portata da Richter le 3 fasi si svolgono su due giorni. Anche la definizione delle fasi differisce, infatti abbiamo:

  1. parte ritmica
  2. parte di apprendimento
  3. parte di racconto

in un caso, e:

  1. parte di sperimentazione
  2. parte di descrizione
  3. parte di rielaborazione (il giorno seguente)

nell’altro.

Che la prima modalità di tripartizione possa entrare in contraddizione con elementi dell’antropologia è già stato rilevato da Wiechert nel suo articolo sopra citato.

Si farà ora il tentativo di chiarire la seconda modalità di tripartizione della lezione di epoca.

L’analisi dei processi di apprendimento verrà fatta partendo da 3 esempi presi dall’esperienza di vita reale che ritengo che ogn’uno possa ripercorrere col pensiero e ritenere validi nella loro descrizione.

1. Mi trovo nella sala di aspetto di uno studio medico. Onde far passare il tempo, prendo in mano una rivista e comincio a sfogliarla senza particolare interesse. Le prime 4 pagine sono solo scritte, le passo quindi rapidamente finché, sulla quinta pagina c’è una fotografia che attira la mia attenzione. Rappresenta un paesaggio montuoso, con cielo azzurro, laghi alpini, foreste di conifere e cime innevate. Sorge in me la domanda su dove si trovi quel paesaggio, e quindi cerco la didascalia che fornisce alcune informazioni sul paesaggio, tra cui il luogo dove è stata scattata la fotografia.

2. Supponiamo di essere un produttore video dilettante che acquista una videocamera professionale. Apro la scatola, tiro fuori la videocamera, la prendo in mano e ne osservo ogni dettaglio percependone il peso, la maneggevolezza, il design. Se le batterie sono già cariche (cosa comune al giorno d’oggi), la accendo, verifico il funzionamento con un paio di riprese di prova e controllo le varie funzioni. Vi sono poi dei pulsanti e delle funzioni che non conosco. Prendo il manuale per l’uso, identifico il pulsante tramite il confronto con il disegnetto schematico dell’apparecchio sul manuale, e poi leggo i dettagli del pulsante o della funzione.

3. Sto facendo una passeggiata con un bambino di qualche anno che sta’ ancora imparando a parlare. Sul prato accanto al sentiero il bambino vede un asino (per la prima volta in vita). In precedenza aveva già visto un cavallo. Indica l’asino con la mano e mi dice “guarda, un piccolo cavallo”. Io lo correggo dicendogli che quello è un asino, che si distingue dal cavallo per le dimensioni, le orecchie, e così via.

Cosa accomuna questi tre esempi? Nel primo esempio la mia attenzione è stata attirata dalla foto. Nel secondo esempio prendo in mano la videocamera, la guardo, la provo. Nel terzo esempio, l’attenzione del bambino è stata attirata dall’asino. Vedere una foto, toccare, guardare, provare e vedere l’asino sono tutte percezioni. Generalmente, nel nostro processo di apprendimento, ci viene naturale partire dalle percezioni. Le percezioni stimolano il nostro interesse e la nostra osservazione, e laddove osserviamo qualcosa che non conosciamo, nasce la domanda. È molto più improbabile che, sfogliando la rivista, cominci già a leggere la prima pagina solo scritta, a meno che io non l’abbia comprata volontariamente perché tratta temi che mi interessano, piuttosto che per il fatto che il titolo sia particolarmente accattivante. Similmente, è poco probabile che appena acquistata la videocamera io cominci a leggere il manuale prima di averla tirata fuori dalla scatola, presa in mano e osservata un po’.

Questo processo viene elegantemente descritto da Rudolf Steiner nella sua opera La filosofia della libertà:

Dobbiamo pensare ad un essere con intelligenza umana pienamente sviluppata che sorga dal nulla e si ponga di fronte al mondo. Ciò di cui egli si accorgerebbe, prima di mettere in attività il suo pensare, è il puro contenuto dell’osservazione. Il mondo gli mostrerebbe allora solo il semplice aggregato sconnesso di oggetti di sensazione: colori, suoni, sensazioni di pressione, di calore, di gusto, di olfatto; e poi sentimenti di piacere e di dispiacere. Tale aggregato è il contenuto della pura osservazione, priva di pensiero. Di fronte vi è il pensare che è pronto a sviluppare la sua attività, se trova un punto adatto di attacco. L’esperienza insegna presto che esso lo trova. Il pensare è in grado di tirare dei fili da un elemento di osservazione a un altro. Esso collega con questi elementi determinati concetti e li mette così in relazione fra loro.

Se ora rivalutiamo gli estratti di Steiner sulle lezioni di fisica e di storia, come pure le considerazioni di Richter sulla tripartizione della lezione, vediamo che la prima fase della lezione viene sempre descritta quale percezione di qualcosa di nuovo. Per la lezione di fisica Steiner parla di fare qualche esperimento col ragazzo, per la lezione di storia parla di raccontare ai ragazzi i nudi fatti e Richter, in relazione alla prima fase, parla di vivere, osservare, sperimentare.

Negli esempi descritti, una volta attirata l’attenzione e attivata l’osservazione, avviene immediatamente il secondo passo, si cerca di trovare un nesso tra la nuova percezione e quanto già si conosce. In altri termini, come espresso da Steiner nella Filosofia della libertà, si tenta di collegare quanto osservato con determinati concetti. Nel primo esempio, l’informazione di dove è stata scattata la foto mi permette di inserire, nella mia visione del mondo, l’immagine rappresentata. Nel secondo esempio, identificati i pulsanti di cui non conosco la funzione (identificazione solo possibile in conseguenza dell’osservazione), cerco sul manuale i concetti corrispondenti. Nel terzo esempio, il bambino, non appena vede l’asino, cerca dentro di sé un concetto corrispondente e lo trova in ciò che conosce e che più gli assomiglia, quindi nel concetto del cavallo.

Steiner descrive anche questo processo sempre nella Filosofia della libertà:

Di fronte alla cosa esterna, per gli esseri pensanti sorge il concetto. Esso è ciò che della cosa riceviamo non dal di fuori, ma da dentro. La conoscenza deve fornire il pareggio, deve riunire i due elementi, quello interiore e quello esterno.

La percezione non è quindi nulla di finito, di conchiuso, ma un lato della realtà totale. L’altro lato è il concetto. L’atto conoscitivo è la sintesi di percezione e concetto. La percezione e il concetto di una cosa formano quindi la cosa intera.

Qualcuno potrebbe obiettare che, nell’esempio della foto del paesaggio, il concetto l’ho cercato nella didascalia e non dentro di me. In realtà, se il nome del luogo indicato nella didascalia è a me completamente sconosciuto e non riesco a posizionarlo nella mia immagine interiore della mappa del mondo, il mio desiderio di conoscere il luogo rimane insoddisfatto. Analogamente, nel caso della videocamera, se il pulsante sconosciuto per il quale mi sono riferito al manuale fa una funzione di cui non ho mai sentito parlare, dovrò provarlo (quindi “percepirne l’azione”) per creare un nuovo concetto dentro di me sulla sua funzione.

Steiner dice che la realtà totale si compone di percezione e relativo concetto. Un semplice esempio può chiarire la validità di questa affermazione.

Mi trovo in pianura e guardo l’orizzonte intorno a me. Questa semplice percezione mi farebbe concludere che la terra è piatta. Ora salgo su di una montagna e constato che riesco a vedere più lontano. Per collegare queste due percezioni in modo che abbiano un senso, devo rifarmi al concetto (che possiedo già da altre osservazioni) di curvatura e che rivela la realtà della curvatura della superficie terrestre. Il collegamento delle varie percezioni con i relativi concetti e dei concetti tra di loro viene fatto dal pensare, non mi è dato immediatamente dalla percezione. È quindi giusto affermare che la realtà si compone da percezioni e concetti insieme.

Ad ogni percezione però si associa un altro elemento. Se il bambino, dopo che ha visto l’asino, chiude gli occhi, è ancora in grado di vedere davanti a sé l’immagine dell’asino. Steiner descrive quest’osservazione nel seguente modo:

Il soggetto della mia percezione rimane per me percepibile anche quando la tavola, che ora mi sta davanti, sarà scomparsa dal campo della mia osservazione. L’osservazione della tavola ha suscitato in me una modificazione, anch’essa permanente. Io conservo la capacità di riprodurre in seguito l’immagine della tavola. La capacità di riprodurre un’immagine rimane legata a me. La psicologia chiama questa immagine rappresentazione mnemonica. Ma solo essa può con ragione venir chiamata rappresentazione della tavola: corrisponde infatti alla modificazione percepibile del mio stato per effetto della presenza della tavola nel mio campo visivo. […] La rappresentazione è quindi una percezione soggettiva, contrapposta alla percezione oggettiva che avviene in presenza dell’oggetto nell’orizzonte della percezione.

E caratterizza la rappresentazione nel capitolo VI:

Nel momento in cui una percezione compare all’orizzonte della mia osservazione, anche il pensare si muove in me. Una parte del mio sistema di pensieri, una determinata intuizione, un concetto si collega con la percezione. Che cosa rimane quando poi la percezione scompare dal mio campo visivo? La mia intuizione in rapporto con la determinata percezione che si era formata nel momento del percepire. La vivezza con la quale in seguito potrò ripropormi quel rapporto, dipende poi dal modo in cui funziona il mio organismo spirituale e corporeo. La rappresentazione non è altro che un’intuizione riferita a una determinata percezione, un concetto che una volta si è legato con una percezione e che è rimasto connesso con quella. Il mio concetto di un leone non è formato in base alle mie percezioni del leone. È invece dovuta alla percezione la mia rappresentazione del leone. Io posso far conoscere il concetto di un leone a qualcuno che non ne abbia mai visto uno. Non mi riuscirà di trasmettergliene una rappresentazione vivente, senza la sua percezione diretta.

La rappresentazione è cioè un concetto individualizzato. […] La rappresentazione sta dunque fra percezione e concetto. È il concetto determinato, riferentesi alla percezione.

Steiner conclude quindi:

La realtà ci si presenta come percezione e concetto, l’immagine soggettiva della realtà come rappresentazione.

Cosa si intende qui con immagine soggettiva della realtà e concetto individualizzato? Cercherò di chiarirlo tramite uno degli esempi dati sopra. Torniamo alla fotografia del paesaggio montuoso sulla rivista (esempio 1). L’immagine interiore (la rappresentazione) della stessa percezione sarà molto diversa se ad osservare la fotografia sarà un Tuareg del Sahara piuttosto che un geologo. Il geologo, per esempio, collegherà all’immagine subito il concetto di “monte calcareo”, o “monte granitico”, concetti probabilmente sconosciuti al Tuareg. Il geologo potrebbe anche collegarvi il concetto di “erosione glaciale”, ed una serie di altri concetti. Il Tuareg non arriverà probabilmente neppure ad osservare che la valle rappresentata nel paesaggio montuoso ha una forma a U, tipica dei paesaggi glaciali, proprio perché non associa a questa osservazione alcun concetto. Una terza persona potrebbe addirittura ricevere dall’immagine un richiamo ad un luogo personalmente visitato, e dire “assomiglia molto ai monti X”. Ogni persona inserisce la stessa percezione in un contesto, in un’immagine interiore del mondo, che proprio per le differenti esperienze che ogni uomo ha fatto, è personalizzata, individualizzata.

A tutto ciò va inoltre aggiunto un sentimento o un’emozione scaturita dalla percezione che viene a far parte della rappresentazione individuale e che può variare molto da persona a persona. Il ragno che disgusterà una ragazza sarà ammirato con interesse e curiosità dall’entomologo (colui che studia gli insetti). In questo senso, Steiner aggiunge:

Posso chiamare mia esperienza la somma di ciò su cui posso formare rappresentazioni. Chi avrà il maggior numero di concetti individualizzati avrà la più ricca esperienza. Chi manchi di ogni capacità d’intuizione non è idoneo ad acquistare esperienza. Gli sfuggono sempre gli oggetti dal suo campo visivo, perché gli mancano i concetti che deve mettere in relazione con gli oggetti stessi. Altrettanto poco potrà accumulare esperienza un uomo con una ben sviluppata capacità di pensare, ma con un’attività di percezione mal funzionante a causa di rozzi strumenti sensori. Egli potrà sì procurarsi in qualche modo concetti, ma alle sue intuizioni mancherà il rapporto vivente con determinate cose. Il viaggiatore privo di pensieri e il dotto che vive in astratti sistemi di concetti sono ugualmente incapaci di acquisire una ricca esperienza.

Per ritornare al tema del presente articolo, andiamo alla fase 2 della lezione come descritta da Steiner. Nell’esempio della fisica, parla di fare appello al ricordo di quanto si è sperimentato direttamente, nell’esempio della lezione di storia parla di riferirsi alle persone o agli avvenimenti accaduti, caratterizzandoli. Richter, in relazione alla fase 2, parla di ricordare, descrivere, caratterizzare, disegnare. Vi è un chiaro riferimento a lavorare sulla rappresentazione di quanto sperimentato. Ricordando un esperimento, mi posso appellare solo a quanto è rimasto in me quale rappresentazione del vissuto, perché la percezione ha avuto termine. Ricordando, mi posso solo basare su quella che Steiner definisce la modificazione suscitata in me dalla percezione. Caratterizzando, porto l’attenzione degli allievi su dettagli che forse, proprio perché non possiedono ancora concetti relativi, sono sfuggiti alla loro osservazione. Nell’esempio numero 1, potrei riportare l’attenzione dei ragazzi al ricordo del fatto che la valle dell’immagine montuosa è a forma di U, o che i boschi erano composti di piante “appuntite” (conifere), o che le cime innevate avevano zone dove la neve sembrava più spessa (ghiacciai). Vi sono innumerevoli osservazioni che si possono fare quando si ha una percezione, e non è scontato che gli allievi le abbiano fatte tutte con coscienza.

Compito di questa seconda fase è quindi quello di esercitare la descrizione del ricordo di quanto si è percepito o sperimentato, di esercitare la capacità di farsi una rappresentazione. Richter, in questo senso aggiunge anche il disegnare, che per la grande maggioranza delle rappresentazioni è idoneo perché queste tendono per l’appunto ad essere “rappresentazioni di immagini”. Esistono comunque anche rappresentazioni che non si ricordano come immagini. Il gusto di un frutto ne è un esempio, come il tuono durante un temporale. Queste ultime possono essere viste come rappresentazioni, perché possiedono un carattere personale. Il gusto può piacere o non piacere, come pure il rumore del tuono. Il gusto di una mela, una volta percepito, può essere riconosciuto e discriminato dal gusto di una pera. Questo è difficilmente fattibile solo conoscendo l’elemento concettuale del gusto di una mela (dolce, un po’ aspro, ecc.). Come descrive Steiner nell’esempio del leone, posso trasmettere ad un’altra persona il concetto di gusto di una mela, ma non potrò trasmetterne una rappresentazione vivente, senza che vi sia la sua percezione diretta. Chi non avrà mai mangiato una mela ma conosce il concetto di mela, faticherà molto al primo assaggio a riconoscerla come mela unicamente dal gusto.

Negli esempi illustrati fino a qui si è sempre partiti dall’idea che i concetti relativi a quanto osservato siano già conosciuti (non sarebbe stato altrimenti possibile portare esempi, se avessi dovuto usare concetti sconosciuti). Appare però chiaro che nell’esempio 1 una persona potrebbe anche non avere già il concetto di montagna, come nell’esempio 2 qualcuno potrebbe non avere ancora il concetto di videocamera. Questa è la condizione che naturalmente si incontra quando si insegna a bambini e ragazzi. Essi vengono a scuola appunto per imparare nuove cose e conoscere nuovi concetti.

Nell’esempio numero 3 del bambino che vede l’asino ma lo riconosce come un cavallo, abbiamo la spiegazione dell’adulto che introduce al bambino il nuovo concetto di asino. Questo nuovo concetto viene quindi a far parte dei concetti del bambino, legandosi alla rappresentazione dell’asino e distinguendolo in questo modo da quello di cavallo. Nell’esempio numero 1, sulla foto del paesaggio montuoso, una persona che veda quell’immagine ma che non abbia mai visto ne sentito parlare di una montagna in vita sua, sarebbe alla ricerca di un concetto a lei nuovo che rispecchi la percezione avuta (questo è esemplificato dalla semplice domanda “Cos’è quello?”). Questa condizione di ricerca esiste malgrado il fatto che questa persona abbia avuto la percezione e se ne sia creata una rappresentazione. Se ripensiamo al caso del Tuareg che vede la foto, può aver notato la valle ad U come pure gli ispessimenti della neve, ma non averne un relativo concetto.

Vi è quindi una terza fase nel processo conoscitivo, quella di ricerca dei concetti relativi a quanto di nuovo è stato percepito.

Steiner descrive questa terza fase nel modo seguente: il giorno seguente svolgo i pensieri che portano il ragazzo a conoscere le leggi di quanto è avvenuto e il giorno seguente (devo presentare) ciò che giudica e riflette. Richter definisce la terza fase come quella in cui si rielabora, analizza, astrae, generalizza. Scopo di questa terza fase è quindi di permettere al ragazzo attraverso ragionamenti, collegamenti concettuali, analisi, e così via, di riconoscere i giusti concetti relativi a quanto sperimentato.

Riassumendo quanto presentato, suggeriamo quindi che il naturale processo conoscitivo riconoscibile dall’analisi dei processi di apprendimento dell’essere umano e dettagliatamente esposto da Rudolf Steiner nella sua Filosofia della libertà in:

  1. Percezione
  2. Rappresentazione
  3. Concetto

abbia fornito le basi filosofico-fenomenologiche della tripartizione della lezione come descritta da Steiner e ripresa da Richter in:

  1. vivere, osservare, sperimentare
  2. ricordare, descrivere, caratterizzare, disegnare
  3. rielaborare, analizzare, astrarre, generalizzare (costruzione di teorie)

Tra questi elementi riteniamo di riconoscere le seguenti relazioni dirette:

  1. Vivere, osservare, sperimentare                                –>       Percezione
  2. Ricordare, descrivere, caratterizzare, disegnare        –>       Rappresentazione
  3. Rielaborare, analizzare, astrarre, generalizzare          –>       Concetto

Qualcuno potrebbe portare l’obiezione che la descrizione che fornisce Steiner riguardo alla prima fase della lezione di storia non possa essere caratterizzata come percezione. In quel passaggio Steiner dice:

Oggi racconto ai ragazzi i nudi fatti, quelli che avvengono sensibilmente nei luoghi e nel tempo.

Se partiamo dall’idea che il docente racconti tutto quanto è conosciuto dall’essere umano riguardo ad uno specifico evento storico, da questa descrizione dei fatti il ragazzo creerà un’immagine interiore, una rappresentazione. Steiner infatti aggiunge:

Questo afferra il ragazzo tutto, come il fare esperimenti, perché egli è obbligato a pensare spazialmente.

Va inoltre specificato che il termine “percezione” utilizzato in italiano non è l’esatta traduzione del termine tedesco Wahrnehmung. Questa è una parola composta da altre due parole, la parola “Wahr” e la parola “nehmen”, che significano rispettivamente “vero” e “prendere”, quindi “prendere vero”, o “prendere per vero”. Questo concetto può quindi essere applicato in maniera più vasta di quanto non si possa fare con la parola italiana “percezione”. Io posso “prendere per vero” anche un’emozione o un pensiero, mentre diventa alquanto dissonante dire in italiano che si “percepisce” un emozione o un pensiero.

Steiner specifica questa definizione nel capitolo IV della Filosofia della libertà quando dice:

Anche del mio sentimento io prendo conoscenza per il fatto che per me esso diventa percezione (in tedesco Wahrnehmung). E il modo in cui prendiamo conoscenza del nostro pensare mediante l’osservazione è tale che possiamo chiamare percezione (in tedesco Wahrnehmung) anche il pensare, nel suo primo rivelarsi alla nostra coscienza.

Un racconto di fatti realmente accaduti può quindi essere una percezione nel senso di essere “preso per vero” dal ragazzo.

Aggiungo una riflessione personale sul suggerimento di fare la terza fase il secondo giorno, e non il giorno stesso in cui ci si è occupati della percezione e della rappresentazione. Come abbiamo descritto sopra, quando la rappresentazione sorge in conseguenza di una percezione, a questa rappresentazione sono associate spesso anche qualità emotive e di sentimento che sono individuali.

L’esperienza insegna che emozioni e sentimenti forti possono ostacolare la valutazione oggettiva di un fenomeno.

L’esperienza insegna anche che una notte di sonno tende ad attenuare emozioni forti.

In questo senso, il giorno dopo una certa esperienza, si è più facilmente in grado di analizzare l’evento liberi dalle emozioni che ha scatenato in noi, permettendoci una maggiore oggettività. Questo è in linea con l’espressione usata da Richter di prendere distanza da quanto accolto.

Per concludere, vorrei fare ancora una considerazione sulla prima modalità di tripartizione presentata in questo scritto, quella che viene descritta con le tre fasi:

  1. parte ritmica
  2. parte di apprendimento
  3. parte di racconto

Dobbiamo veramente abbandonarla nella sua totalità? Nei miei studi sulla documentazione antroposofica, ho trovato un passaggio del libro di E.A. Karl Stockmeyer “Angaben Rudolf Steiners für den Waldorfschulunterricht” (Indicazione di Rudolf Steiner per l’insegnamento nelle scuole Waldorf) in cui Stockmeyer riferisce:

Intorno al 10 giugno 1919 Rudolf Steiner mi diede indicazioni relative alla costruzione del piano orario e sul nuovo ordinamento che lo avrebbe dovuto sostituire in certe materie. Da tre fino a quattro giorni, disse, avrebbe dovuto esserci ogni mattina, durante la prima ora, il canto, negli altri giorni il disegno. Dopodiché si doveva fare per esempio calcolo, quindi una materia che si tratta nelle epoche, e poi religione. La lezione non avrebbe dovuto incominciare prima delle 8 di mattina, e terminare intorno alle 12. […] Nel discorso del 10 giugno appena menzionato, Rudolf Steiner la inserisce (la lezione di epoca) per la prima volta nel piano giornaliero. Ma non si trova all’inizio della giornata, prima abbiamo qualcosa di artistico.

Secondo quanto riporta Stockmeyer, c’è stato almeno un caso in cui Steiner ha suggerito di cominciare la giornata con un’attività artistica. Quello che però è fondamentale da comprendere è che la parte artistica non è parte costitutiva della tripartizione della lezione di epoca, ma una parte aggiunta prima di cominciare l’effettiva lezione di epoca.